Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo, La mafia non ha vinto
Laterza, 161 pagine, 12 euro
Secondo alcuni magistrati, in seguito all’escalation della violenza mafiosa, nel 1992 alcuni politici e alcuni agenti avviarono contatti con Cosa nostra, offrendo vantaggi come l’abolizione del carcere duro e il ritiro della normativa sui pentiti in cambio di un cessate il fuoco.
Negli ultimi anni si è parlato molto di questa ipotesi, rubricandola sotto il nome di “trattativa stato-mafia”, nel quadro di una visione che attribuisce gli sviluppi fondamentali della storia degli ultimi decenni a movimenti occulti. Oggi un giudice e uno storico esaminano da vicino, smontandolo, l’impianto di questa ipotesi accusatoria rilevandone le contraddizioni, le semplificazioni, la fragilità delle prove su cui si basa.
Illuminano di luce nuova un momento di passaggio cruciale della nostra vicenda, quando gli equilibri in Sicilia si erano destabilizzati, e la mafia, che non poteva più contare sulla Democrazia cristiana e subiva i colpi della repressione, tentò una strategia nuova, terroristica, estesa al “continente”. Secondo gli autori, di fronte a questo attacco, in molti cercarono di raccogliere informazioni sulla strategia mafiosa e capire cosa fare, ma nessuno prese decisioni a vantaggio della mafia.
Questa infatti nel periodo successivo finì per abbandonare del tutto l’obiettivo di affermarsi come potere politico. Forse, verrebbe da dire, spostando la propria azione in altri campi.
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