Sanjay Subrahmanyam, Mondi connessi

Carocci, 275 pagine, 19 euro

La globalizzazione ha conseguenze rilevanti sulla storia. La percezione del fatto che le nostre vite dipendono sempre meno da ciò che si decide all’interno degli stati e sempre più da organismi e movimenti internazionali rende meno interessante uno studio del passato articolato esclusivamente su singole nazioni e spinge verso la ricerca di prospettive alternative. Tra le proposte metodologiche più interessanti c’è quella della connected history avanzata da Sanjay Subrahmanyan per lo studio della prima età moderna, quando il mondo “si presentava per la maggior parte come un patchwork di imperi intrecciati in concorrenza tra loro, punteggiato da uno strano intruso, lo stato-nazione allora in gestazione”.

Subrahmanyam esamina ciò che metteva in contatto mondi distinti: non solo, come è sempre accaduto, guerre, scambi commerciali, migrazioni ed epidemie, ma anche testi, miti, simboli e istituzioni. Rivela così, per esempio, che nel cinquecento le differenti monarchie, dal Portogallo all’India, condividevano l’attesa di una nuova età dell’oro, o che ovunque esistevano mediatori poliglotti capaci di far conoscere ai propri concittadini le culture lontane. Grazie alla sua conoscenza di molte lingue orientali e occidentali riesce a sfatare idee acquisite sull’esportazione di pratiche e idee dall’Europa al resto del mondo e a trovare modi nuovi per mettere a confronto società diverse.

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