L’invasione degli ultracorpi dell’Expo 2015
Benvenuti all’Expo 2015!
È ufficialmente iniziata proprio adesso! È iniziata anni fa (sette) e continuerà a iniziare per mesi e mesi (sei) e poi per anni e anni (indefiniti). Non smette mai di iniziare. È la solita storia, ma, siccome la memoria falla e traballa un poco a tutti voi, è una storia sempre nuova, sempre variata. Benvenuti nel mito!
Benvenuti eccezionalmente a Milano, la Milano di Andrea Bocelli e Paolo Bonolis e Antonella Clerici: questa è la nostra porta per uscire nel mondo di oggi, pieno di food e di startup, di lavori 2.0 e di tanto tanto design. Potete accedere ai padiglioni che nemmeno a Parigi erano finiti, a inizio secolo o fine di quello prima, comunque tanto tempo fa, come ha annotato pochi giorni addietro il sindaco dell’Expo, signor Giuliano Pisapia, dicendosi ottimista circa l’apertura dell’esposizione universale, con cui l’Italia ha sconfitto la Turchia della candidatura Smirne. Siete a Milano e non tra i mammalucchi! Benvenuti, davvero.
In via del tutto eccezionale, quest’anno, nel sito di un milione di metri quadrati, che rischia di essere oggetto di speculazioni, che forse però ci sono già state o che l’anticorruzione di Cantone ha sventato, il tema principe dell’esposizione universale è: Nutrire il pianeta. Aboliamo la fame! Educhiamo i contadini sudamericani, quei peones potranno venire qui a imparare come fare l’agricoltura.
Intanto c’è da dire che si è raggiunto un numero storico di biglietti prevenduti e in cambio gliela diamo l’Expo, non è che ci portiamo a casa i soldi della prevendita e poi diciamo che il concerto è sospeso, come si temeva, tutti, dai gufi agli iellatori, dagli anticostituzionali alle minoranze più torve.
I manifestanti di #NoExpo fanno colore: siamo italiani! L’Italia, quando vuole, ce la fa.
Abbiamo realizzato tutto a sistema, è tutto un combinato disposto: organizzazione, precisione, contratti, sorveglianza, rifacimenti del manto stradale, l’Albero della Vita, Cracco, le vie d’acqua che ci saranno ma non come dovevano esserci e non come paventavano i soliti pessimisti, le Medee, gli uomini col fiore in bocca, tutti i nostri avversari che dicono sempre “no” come Vasco Rossi, ma @VascoRossi Non arrabbiarti, era una battuta! Siamo noi al meglio, questa Expo. Abbiamo in mano un gioiello che fa da modello Italia per l’italian style e tutto il fashion. Mesi e mesi di eventi sgargianti che tolgono la fame: se non ci vedi più dalla fame, il nostro Expo ti riempie il buco nello stomaco e te ne apre un altro nei conti.
No, davvero, stavamo scherzando: erano tutte battute. Tenete presente che a pochi giorni dall’inaugurazione sono stati lavorati i Sette Varchi e inaugurata in pieno Naviglio milanese (una via d’acqua) la Nuova Darsena. Che fa schifo, certo, l’intento era questo: tutto, purché se ne parli. È un aggregato di mattoni tipo quelli con cui si fabbricano le nuove chiese e i nuovi oratori in qualunque hinterland dopo la chiusura del Concilio Vaticano Secondo. Abbiamo fatto una festa di settantamila persone che si sono riappropriate di uno degli angoli più suggestivi della Milano vecchia, di quella nuova e di quella dopo ancora. Abbiamo innalzato le torri di Porta Nuova e le abbiamo subito vendute al Qatar, nemmeno Totò con la fontana di Trevi è arrivato a tanto. Milano è pronta.
Moltissimi precari felici mangeranno a sbafo, nutrendosi, loro che sono il pianeta, con i buoni pasto o le gavette firmate Expo 2015. Tantissimi hashtag vengono retwittati in questo stesso momento e anche in quello successivo. Abbiamo creato 70mila posti di lavoro, 700mila, 7 milioni: non la sappiamo nemmeno noi quanto lavoro abbiamo creato. A quanti commissari abbiamo trovato il posto, nominandone à go go? Fare gli standisti per sei mesi è davvero importante, lo metti in curriculum (o c.v.) col font giusto, e poi tutti pronti a partire per Londra o la Silicon valley. Quanti muratori neri in nero? Qualcuno forse ha visto qualche rom lavorare per Expo? Nessuno! È un risultato straordinario.
L’altra sera un proprietario di una marca di caffè era entusiasta, nella televisione nazionale, così come il ministro dell’agroalimentare: non sembra un racconto di Lovecraft? “Expo vale un punto di pil” si diceva e subito torna alla mente il ricordo di quell’affabile Mario Monti, il premier che più ci ha parlato di pil nella nostra vita e che fece il bell’annuncio: anche il Brasile sarà della partita nel 2015.
Invece di Mario Monti, alla riunione del comitato promotore di Milano Expo, convocata a palazzo Chigi dopo la designazione ufficiale nel 2008, parteciparono, oltre al premier Romano Prodi e al sindaco di Milano ovvero Letizia Moratti, anche il ministro degli esteri, Massimo D’Alema, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Enrico Letta, il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, e il presidente della provincia di Milano, Filippo Penati. Vi preghiamo di rileggere questi nomi: sono memorabili, no?, sono coloro che hanno permesso a noi di fare questo e di darvi il benvenuto.
Milano ferve: è tutta un cantiere. E continuerà a esserlo! Non si sono mai viste tante buche, tanto inquinamento da polveri e metalli che si proiettano dagli scavi Expo verso quel cielo di Lombardia, così azzurro quand’è azzurro e non è azzurro mai. Ai milanesi, si dice, è venuta la rinite: smentiamo questa voce, tendenziosa quanto esilarante. Ma chi se ne frega di Milano quando in gioco c’è l’interesse del Paese e del Villaggio, globale o meno che sia?
“No gufi day ma vittoria Italia” è stato il secco commento, subito rilanciato dalle agenzie. Chi l’ha fatto quel commento? E che bellissimi sponsor siamo in grado di farvi vedere tutti insieme: sono quelle multinazionali che già prima di Expo nutrivano il pianeta, e figurarsi se smettono di farlo dopo Expo.
È tempo di memorie: le stiamo cancellando e facciamo in modo che non se ne creino altre. È tempo di storia: la stiamo facendo, non preoccupatevi.
Non lontano dall’area Expo, tra via Triboniano e via Barzaghi, c’era anche il campo rom autorizzato più grande di Milano, con oltre seicento abitanti nel momento di massimo affollamento. ‘Il campo modello’ secondo il vicesindaco De Corato. Uno spazio a numero chiuso, con ingressi sorvegliati da telecamere e accesso vietato ai non domiciliati o ai non autorizzati. Tutto questo ovviamente sulla carta.
Sono i tempi del patto di legalità, scritto dalla Casa della carità di Don Virginio Colmegna, strapazzato e strumentalizzato dalla destra e fatto sottoscrivere agli abitanti del campo. Lo spauracchio rom sarà agitato da Lega e De Corato a orologeria: campagne elettorali, emergenze sicurezza in ogni possibile declinazione, rapine in villa, furti di merendine ai figli degli italiani a scuola. Alla fine il patto sarà stralciato nel maggio 2011, a pochi giorni dalle elezioni comunali, quando il campo verrà chiuso definitivamente a colpi di manganello e lacrimogeni (un guizzo xenofobo e propagandistico che non ha premiato il mandante) per lasciare spazio alle ruspe del vicino cantiere Expo, appena oltre i binari della ferrovia.
(Expopolis, di Off Topic e Roberto Maggioni, AgenziaX)
Ma qui che c’entrano gli zingari? Che c’entrano i negri? Non c’è nessun padiglione a tema Cannibali Bantù. Qui si parla di food, di sponsor, di Milano. E quindi Oscar Farinetti di Eataly e del papà partigiano è l’uomo nero di questo racconto, che nel cibo e nell’Expo e nella Milano non soltanto ha i suoi nuclei fabulistici generativi? Qualcuno racconta in questi giorni la storia di come ce l’hanno data a bere parlando di mangiare:
‘Un grande comunicatore, attento a usare un linguaggio semplice’, un ‘imbattibile venditore di spensierata evasione dalla realtà’ che manifesta ‘un amore totale verso se stesso’; il leader naturale ‘che per la [sua] personale audacia e capacità finisc[e] per diventare simbolo di questa smania irrefrenabile di fare, di agire, di sentirsi vivi’. Farinetti? No no: Berlusconi. Piaccia o non piaccia a chi nel ventennio passato si è dedicato all’antiberlusconismo (e sono stati tanti), i punti di contatto tra i due imprenditori sono così numerosi che ci si potrebbe costruire un quiz, un trova le differenze.
(La danza delle mozzarelle. Slow food, Eataly, Coop e la loro narrazione, di Wolf Bukowski, consulenza editoriale di Wu Ming 1, Alegre)
È un grande, formidabile, sesquipedale casino all’italiana. Certo, è un’Italia OGMizzata e omogeneizzata, è turbocapitalismo con archistar, è una diretta Rai come fu una diretta Rai a Vermicino, è Andrea Bocelli discoverto da Caterina Caselli, è Chef Cannavacciuolo che mangia il gorgonzola sulle pubblicità dei jumbo tram Atm, che sarebbe la versione milanese dell’ATAC romana. È tutta narrazione, baby.
Buonanotte, bambini.