Nel 2000 il regolamento penitenziario italiano stabiliva che entro il 2005 tutte le celle dovessero avere una doccia: regolamento allo stesso tempo ritardatario e ottimista. Ventuno anni dopo l’associazione Antigone è entrata in 67 carceri e ha potuto verificare che fine abbia fatto quella norma: in una galera su tre di quelle visitate non ci sono docce nelle celle.

E del resto, anche se le docce ci sono, può capitare che manchi l’acqua. “Nella casa circondariale di Frosinone”, scrivono i ricercatori dell’associazione in un nuovo rapporto, “sono stati segnalati frequenti episodi di mancanza di acqua corrente”. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove il 6 aprile 2020 la polizia penitenziaria ha picchiato brutalmente i detenuti che avevano protestato per chiedere più protezione contro il coronavirus, non c’è alcun allaccio idrico, per cui tutto ciò che esce dai rubinetti non è potabile. In compenso è “particolarmente ferroso e di colore torbido”. Nell’istituto di Borgo San Nicola, a Lecce, per due giorni insieme all’acqua è andata via anche la luce. Era la fine di giugno e le temperature nella zona sfioravano i 40 gradi.

Oggi il caldo non è meno impietoso, eppure “a causa della pandemia, nel 24 per cento degli istituti ci sono sezioni in cui si si è passati dal regime a celle aperte a quello a celle chiuse”. In questi forni incandescenti di ferro e cemento capita di stare in tre, quattro, cinque e perfino in sei. A Taranto il tasso di sovraffollamento è del 181 per cento, a Latina del 167 per cento, a Como del 152 per cento. Per tantissimi detenuti e detenute significa non avere a disposizione neanche quei tre metri quadrati di superficie calpestabile al di sotto dei quali la Corte di Strasburgo parla di “trattamenti inumani e degradanti”. Tra loro quasi 20mila devono scontare meno di tre anni, per cui potrebbero accedere alle misure alternative: ma molti hanno commesso dei reati ostativi (cioè gravi come l’omicidio ma anche furti in casa e rapine), molti non hanno una casa dove scontare i domiciliari o una comunità che li accolga, e alcuni sono privi di qualsiasi aiuto legale per richiederle, per cui restano dietro le sbarre. Senza colpe, anche 29 bambini con meno di tre anni restano in carcere con le loro madri.

L’acqua non è l’unica cosa che manca: “Nel 42 per cento degli istituti oggetto del monitoraggio”, dice Alessio Scandurra di Antigone, “sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono passaggio di aria e luce naturale”.

Nelle galere l’aria che tira, quando tira, è questa. E questa è l’estate che vivono le persone che ci sono rinchiuse.

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