Li riteniamo troppo piccoli per affittare un appartamento, guidare o votare: ma li consideriamo abbastanza grandi per incarcerarli. Oggi in Italia ragazze e ragazzi minorenni finiscono in prigione sempre di più, sempre più giovani e con sempre maggiore indifferenza degli adulti, salvo di quelli che sognano per loro la galera con ostinazione e precisione.

Secondo il nuovo rapporto dell’associazione Antigone, i detenuti negli Istituti penali per minorenni, dove si può restare fino ai 25 anni se si studia o si partecipa a un progetto di reinserimento, sono circa cinquecento: e non si registrava un numero così alto da dieci anni. Dal 2014 in media erano stati circa quattrocento, trecento durante la pandemia. I ragazzi detenuti che hanno meno di diciotto anni oggi sono quasi il 60 per cento. Due anni fa succedeva esattamente il contrario: i maggiorenni erano il 60 per cento, i minori il 40. Le ragazze sono tredici.

Gli stranieri sono più della metà, e sono i più giovani e i più fragili, perché senza le reti di protezione dei coetanei italiani. Per questo motivo molti pagano il prezzo più alto: privi di una famiglia in Italia che scoraggi i direttori a trasferirli, sono spediti da un istituto all’altro invece di essere aiutati ad affrontare disturbi comportamentali, dipendenze e violenze subite durante i percorsi migratori.

Oltre a quello degli ingressi, passati da 835 nel 2021 a 1.143 nel 2023, l’aumento più preoccupante è quello dei detenuti in misura cautelare, cioè con processi ancora in corso: nel gennaio 2024 erano 340, mentre nel 2023 erano 243. Significa che è sempre più calpestato il principio fissato dalla riforma della giustizia minorile del 1988, per cui la galera doveva essere l’ultimo dei posti in cui rinchiudere gli adolescenti. In questi 36 anni il modello ha accumulato diversi problemi ma al suo meglio ha dimostrato di funzionare, abbassando la recidiva e immaginando della alternative alle celle perfino per i reati più gravi come l’omicidio.

Di fronte a questo cambio di tendenza, ci si potrebbe aspettare che sia mutato il quadro, che sia cresciuto per esempio il numero di reati, ma non è così: “Nel 2015 era lo stesso”, scrive Antigone. Secondo l’associazione la causa è il cosiddetto decreto Caivano. Approvato dal governo di Giorgia Meloni il 7 settembre 2023, dopo che due ragazze erano state stuprate da un gruppo di adolescenti, ha riportato le lancette indietro nel tempo.

Il testo prevede pene più severe per chi ha compiuto reati sotto i diciotto anni e la galera come orizzonte, invece che come soluzione estrema. L’aumento dei ragazzi in carcere, nonostante siano ancora in attesa del processo o della sentenza, è un “segno evidente degli effetti del decreto Caivano”, scrive Antigone. Prima, nelle fasi precedenti alla eventuale condanna, si cercavano di evitare le celle. Un altro effetto del provvedimento “è la notevole crescita degli ingressi negli istituti” per “ fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti”, con un aumento del 37,4 per cento in un solo anno.

Esclusi da un processo democratico che potrebbero influenzare attraverso il voto, e che li riguarda da vicino con provvedimenti che franano sulle loro vite in modo drammatico, ragazze e ragazzi sono per lo più trattati in due modi: come immaturi, quando per esempio scendono in strada a protestare in difesa dell’ambiente; come minacce, quando sono protagonisti di fatti di cronaca, non necessariamente gravi. Se va bene incontrano sarcasmo o indifferenza, se va male sono spediti in cella. Ma un adolescente che cresce in carcere è una sconfitta per tutti.

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