Stefano Benni,Pane e tempesta

Feltrinelli, 248 pagine, 16,00 euro

Ogni nuovo libro di Stefano Benni è accolto con simpatia da schiere di lettori adolescenti o che si ricordano di esserlo stati. Questo, uno dei più aerei e leggeri, è destinato a sicuro successo, perché è un centone di racconti nel racconto (il mio preferito è quello del monumento a Inclinato e delle sue vicissitudini), ognuno più strambo degli altri, e aspira a far ridere e a far riflettere.

Più sorridere che ridere, con le descrizioni bizzarre di personaggi curiosi, buoni e cattivi con tutti i loro tic, con le elencazioni improbabili, con le battute sapide e con l’affettività robusta che lega lo scrittore al ricordo e alla speranza di un’umanità migliore, di un mondo migliore.

Siamo nel paesino di montagna di Montelfo, che sta per essere sconciato dalla speculazione e dal turismo, dove una congrega di grandi e piccoli si dà da fare per salvare il vecchio Bar Sport (e Benni è uno specialista di vecchi bar). Ma è solo il pretesto per mirabolanti avventure di sfasati d’ogni tipo, rappresentanti di un mondo e una natura che non vogliono suicidarsi insieme alle maggioranze assatanate.

Dopo la crisi economica mondiale si ripartirà da qui, dice Benni, perché “per noi ogni giorno è prezioso. E abbiamo i racconti. E sappiamo riparare le cose, e voi no. E anche se il vento ci soffia sopra, abbiamo sempre mangiato pane e tempesta, e passeremo anche questa”.

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