A.S. Byatt, Il libro dei bambini
Einaudi, 699 pagine, 25,00 euro
Byatt scrive da sempre romanzi che spesso risultano assidui e massicci, e ormai si è affermata come nome di punta della letteratura inglese contemporanea.
Si esce un po’ stremati dalla lettura dell’ultimo, l’evocazione minuziosa della vita di alcune famiglie di intellettuali e artisti britannici tra l’età di Vittoria e i massacri dell’insensata e disgustosa prima guerra mondiale inter-borghese e tra parenti stretti, proprio com’erano, insiste la Byatt, i reali d’Inghilterra, Germania e Russia. Famiglie.
Nella tradizione – ma con una minuziosità che non trascura né lo sfondo né il primissimo piano – distante, poco emotiva, elencatrice, si tratta infine di un romanzo storico che mescola personaggi immaginari e reali – tutti quelli più significativi della politica e dell’arte di quei lunghi decenni – e stabilisce un affresco vastissimo e credibile, talvolta pedante, che nella parte finale dichiara il suo senso narrando la grande guerra e i suoi esiti sulle cento vite che ha narrato, sui complicati “bambini” cresciuti in un’epoca di liberazioni e affermazioni che non li hanno liberati dal dolore, dalla solitudine e dalla tragedia.
Questo possente “ripasso” chiede il suo tempo, è lucidamente borghese e perfeziona un quadro che già conoscevamo grazie all’opera di altri scrittori (Edward Forster, Virginia Woolf, eccetera), che appaiono qui sullo sfondo.
Internazionale, numero 868, 15 ottobre 2010
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