Juan Villoro, Il libro selvaggio

Salani, 218 pagine, 13,00 euro

Il messicano Villoro è noto ai lettori di Internazionale per la sua attività giornalistica, meno ai lettori italiani per le qualità di scrittore originale e raffinato, radicato in una tradizione culturale che ha i suoi capisaldi in Borges e soprattutto in Cortázar, e negli europei Calvino, Queneau, Perec. E naturalmente in Bolaño, con cui Villoro ha condiviso amori e ripulse.

Il libro selvaggio non copre la vastità della sua produzione, ma è un romanzo molto originale e che si legge d’un fiato, a cavallo tra letteratura per adulti e per ragazzi. È un romanzo di esplorazione (in una biblioteca dove i libri vivono di vita propria, “patria” del bizzarro “zio” dickensiano del protagonista).

Ha pochi personaggi, tutti simpatici. Ed è sicuramente il migliore dei tanti libri che propagandano l’oggetto libro perché, estraneo al discorso della merce, lo considera come qualcosa di vivo e di autonomo, che solo se ha qualcosa da dire trova il suo destino (destinatario) oltre la merce. È un romanzo di formazione in cui sono usati in modo divertente certi meccanismi propri del romanzo che in altri autori (vedi il famigerato Dan Brown) sono meccanici e stucchevoli. Il “libro selvaggio” è il libro della vita che ti viene incontro e che devi saper decifrare, conquistare e “scrivere”, se vuoi entrare nel tuo presente dalla porta della gaia scienza.

Internazionale, numero 881, 21 gennaio 2011

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