Richard Powell, Vacanze matte

Einaudi, 334 pagine, 18,50 euro

È il libro dell’estate, dal successo comparabile a quello di Zia Mame, e il titolo rimanda senza volerlo alle nostre vacanze 2012, che saranno memorabili: un’epoca di spensierata stupidità collettiva colpita al cuore dalla crisi.

Powell lo scrisse a cinquant’anni alla fine degli anni cinquanta, e nella sua opera è un unicum che evoca tutta una stirpe di “picchiatelli” statunitensi. La famiglia Kwimper è sgangherata ma unita (il padre abile nello sfruttare le leggi sull’assistenza pubblica, due gemellini chissà figli di chi, una babysitter magrolina innamorata del narratore Toby che è il tipico candido-saggio).

Si arena da qualche parte e vi si insedia, raggiunta da altri: una comunità di marginali bizzarri che deve vedersela con burocrati e politici e che troverà solidarietà in un giudice candido-saggio come in un film di Capra. La versione recente più simpatica di quest’umanità è quella dei parenti della Million dollar-baby di Eastwood, che però, da buon capitalista, li mostrava ignobili.

Ne risulta che l’arte vera è quella della resistenza passiva e della contrapposizione della forma alla sostanza. Banca, università, legge, pubblica assistenza sono messe in discussione e due logiche si affrontano: il buonsenso popolare e lo stato. Ma naturalmente il Sistema regge, o almeno ha retto finora.

Internazionale, numero 912, 26 agosto 2011

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