Valeria Parrella, Lettera di dimissioni
Einaudi, 190 pagine, 18,50 euro
Con grande tempismo, escono romanzi che sono consuntivi o tentativi di consuntivo degli ultimi decenni, sulle grandi viltà, i grandi cedimenti, le grandi compromissioni in cui gli italiani si sono lasciati trascinare al tempo delle vacche grasse e del consenso che ne è conseguito a tutto un sistema politico e di potere, anche a sinistra.
Non sempre sono il risultato di una forte riflessione autocritica, personale e generazionale, e si ha talvolta l’impressione di un nuovo opportunismo, frutto di un fiuto trasformista che sembra far parte del nostro dna. Parrella ha sempre parlato latamente di sé, e stavolta ha scritto una sorta di autobiografia romanzata in due parti. Nella prima mette in scena tre generazioni di una piccola o media borghesia campana tra provincia e metropoli, accattivante e vivace. Nella seconda descrive il percorso della narratrice nel mondo “adulto” della cultura e delle istituzioni.
In breve, la protagonista Clelia si accorge di aver troppo ceduto alle lusinghe del privato, con tutto quel che ne consegue, e di non essere riuscita a soffocare del tutto il super-io pubblico, di scontento e disagio. Lettera di dimissioni dichiara la scelta di ricominciare, di ripartire. Lo stile della scrittrice si è affinato, il controllo del rapporto tra personaggio, coro e contesto è assai maturo, ma per ripartire occorrerebbe forse un bisturi più affilato e crudele.
Internazionale, numero 917, 30 settembre 2011
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