Suzanne Ruta, La repubblica di Wally
Einaudi, 270 pagine, 18 euro
Louise, ebrea statunitense, evoca il 1961 e i suoi studi in Francia, a Grenoble, e la scoperta dell’amore grazie a un operaio algerino (Oualy che diventa Wally). Sposato e con figli al di là del mare, l’uomo la introduce alla vita negli anni feroci della guerra per l’indipendenza algerina. Tanti anni dopo, a New York, dopo l’attentato alle torri gemelle, Louise conosce uno scrittore algerino, Aissa, e il romanzo è il confronto, diffuso e talora prolisso, tra chi racconta e chi ascolta.
Quando Wally è tornato in Algeria, ha lasciato senza saperlo Louise incinta di un bambino che poi prenderà con sé facendolo crescere da una coppia senza figli. Crescendo, Karim diventerà un ribelle, e negli anni della feroce guerra civile resterà vittima proprio di quel potere nato grazie a una rivoluzione durissima e vittoriosa.
La prima parte del romanzo ha un andamento lieve ed è anche una ricostruzione agile e partecipe di un’epoca precisa, i primi anni sessanta di una cultura francese straordinariamente vivace. Poi il romanzo diventa un’altra lunga e complicata saga (o tormentone) familiare alla moda e imbarca la famiglia ebreo-americana di Louise e quella algerina di Wally e le considerazioni cultural-politiche dello scrittore Aissa e la sua storia. Ed è decisamente troppo per un solo romanzo, anche se questo chiede il mercato.
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