Roberto Saviano, Zero zero zero

Feltrinelli, 444 pagine, 18 euro

Il nuovo, importante libro di Saviano esce in una collana di romanzi, anche se il “genere” è ancora quello, oggi troppo frequentato, della mescolanza con l’inchiesta, giornalistica più che sociologica. Il tema è la cocaina, il suo mercato, i suoi produttori e spacciatori e clienti, la sua enorme importanza nell’economia di molti paesi e, di conseguenza, visto che si tratta di un prodotto e un traffico fuorilegge, la sua forza di ricatto verso popoli e verso governi. (Un mercato più mortifero bensì legale è quello delle armi, e ameremmo che un qualche Saviano lo sviscerasse a dovere).

I limiti di questa fatica: la ridondanza, un po’ di vittimismo e un certo compiacimento, in alcune parti, nel resoconto di crudeltà efferate, atroci. Saviano è arrivato, nella sua carriera, dove voleva arrivare, ma pagando a caro prezzo il successo mediatico e fin politico, poi assorbito nel giro della “grande” stampa e della “grande” tv.

Eppure il suo libro convince e spaventa, rinnovando un filone di stampo ottocentesco, tra Spengler e Darwin, tra London e Zola e il

tremendismo latinoamericano, e indagando di fatto la presenza del male, anzi il suo dominio, nel mondo contemporaneo: un quadro allucinato e disperato, che inquieta e sconcerta, e una scrittura lucida e nervosa benché ossessiva, con brani da antologia. In questo Zero ci si perde, e si rischia di perdere ogni speranza nel futuro.

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