Christopher Isherwood, Addio a Berlino
Adelphi, 252 pagine, 18 euro
Uscì nel 1939, composto da più racconti in parte già editi e legati dalle esperienze di un giovane britannico nella Berlino immediatamente precedente all’ascesa di Hitler, Addio a Berlino è oggi (non lo era ieri) considerato un classico e una delle più attendibili cronache della vita nella repubblica di Weimar.
Tra spensieratezze e libertà inusitate – post-belliche quanto l’iniquità dei vincitori nel loro rapporto con i vinti, la crisi, la miseria, il risveglio nazionalista, le lotte operaie e via dicendo – l’autore registra la realtà come fosse “una macchina fotografica” aspirando all’oggettività, ma per quanto affascinato dal disordine (e dalla libertà che esso permette) ha le idee ben chiare su come andrà a finire e sul nazismo.
Sessualmente ambiguo, è affascinato anche dalla vitalità piuttosto amorale dell’americana Sally Bowles, uno dei più nuovi personaggi femminili nella letteratura del tempo. La trama è stranota: dal romanzo fu tratta una commedia, diretta in Italia da Antonioni con protagonista la Vitti, poi un film, poi un musical, poi Cabaret con Liza Minnelli.
Ma non tutti lo hanno letto e la nuova traduzione di Laura Noulian è l’occasione per rimediare e per scoprire, strettamente collegati a questo, due altri gioielli della produzione isherwoodiana,
Il signor Norris se ne va e La violetta del Prater.
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