Dulce Maria Cardoso, Il ritorno
Voland/Feltrinelli, 218 pagine, 14 euro
Letti o scorsi di recente gli altri bei romanzi di Cardoso editi da Voland mi sembra che Il ritorno sia la sua opera migliore, quella più pura e di evidente maturità, in cui la vena romanzesca – legata a una perlustrazione accanita delle contraddizioni in cui si dibattono i portoghesi non riconciliati con la realtà, soprattutto le donne – è ancorata a un vissuto personale forte, e ha risonanze che si dipartono da un’inquietudine più intima e vanno oltre il romanzo.
Storia e biografia servono pure a qualcosa, nella comprensione del presente, e il punto chiave in quella di Cardoso devono essere stati gli anni settanta della rivoluzione dei garofani e della rapida e benvenuta decolonizzazione, che segnò “il ritorno” di migliaia di portoghesi dall’Africa, che non sempre erano fascisti e le cui difficoltà hanno poi inciso sulla storia del paese, come è accaduto altrove. È con lo sguardo del quindicenne Rui e il suo rimuginare che Cardoso intreccia una fitta rete di vicende e di personaggi, tra famiglia, scuola e società, in cui si evidenziano le difficoltà del Portogallo tra rivoluzione e restaurazione.
Ed è sempre grazie a Rui che entriamo nella storia di un paese e di un secolo dove a perdere è sempre chi sta in basso e si è lasciato – né poteva essere altrimenti – macinare dalla storia, che raramente ama la “gente comune”.
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