Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti
Einaudi, 264 pagine, 18 euro
Una confessione, un’autobiografia in cui le scelte private e quelle pubbliche vanno di pari passo; una storia dell’Italia contemporanea in un paese che non ama ricordare, e che invece scava nel passato, tra memoria e giudizio. Sono gli anni in cui Moro viene ammazzato e Berlinguer muore di politica, in cui Craxi apre la strada a Berlusconi e in cui il narratore cresce, tra Caserta e Roma e tra piccoli mutamenti privi di rotture forti.
Questo di Piccolo è uno strano romanzo di formazione senza il romanzo, che narra una china, e che rivendica di non voler distinguersi da un “tutti” molto laico, che rifiuta una diversità troppo marcata e attiva nel giusto timore di orgogli megalomani ma anche di faticose solitudini.
È un libro curioso e inaspettato, privo di frivolezze, che servirà a chi vorrà fare la storia degli ultimi tempi dei comunisti occidentali. Piccolo rivendica la sua scelta e ne narra le tappe trascurando l’oggi e puntando alla propria adolescenza (“La vita pura: io e Berlinguer”) e alla prima maturità (“La vita impura: io e Berlusconi”) e ricostruendo, in definitiva, le tappe amare del suicidio della sinistra a partire dalle ambasce di un “eroe del nostro tempo” , evocate con onesta vicinanza-e-distanza. Volendo essere come tutti, dice l’autore, “ci ho messo una vita intera a concepire l’impuro come un modo di stare al mondo”.
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