Luiz Ruffato, Di me ormai neanche ti ricordi
La Nuova Frontiera, 136 pagine, 14 euro
Ruffato è uno dei più bravi narratori latinoamericani di oggi, ma questo non è un romanzo bensì una raccolta di lettere scritte alla madre a Cataguases (Minas Gerais) da São Paulo, da suo fratello maggiore, Célio, che vi emigrò in cerca di lavoro nel 1971 e vi morì in un incidente d’auto nel 1978, a 26 anni.
Sono lettere semplici, testimonianza di una crescita, e dense di piccoli e grandi accadimenti, di incontri con personaggi definiti nelle occupazioni e nel carattere, di anelati ritorni a casa, di un mondo che sempre muta, di affetti fragili e altri forti. È una storia come tante, e se di migrazioni interne o internazionali poco cambia, si tratta sempre di sradicamento e nuovo radicamento, di confronto tra abitudini acquisite e un presente che le cambia, e del mantenimento di quei legami con la famiglia che permettono di resistere: “La famiglia viene prima di tutto, e ne abbiamo una sola nella vita”.
Si tratta anche di quella “presa di coscienza” che è tema eterno del diventare adulti, dal pensare individuale a quello solidale, da “Mamma, ti ricordi di quel ragazzo di cui ti avevo parlato? Non si è fatto più vedere, Fabinho, che è ben informato, ha detto che il problema è la dittatura, che quelli ti arrestano e ti fanno sparire” a “Stiamo preparando una grande manifestazione per il 1 maggio. Penso che quest’anno si farà sul serio”.
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