Mika Waltari, Gli amanti di Bisanzio
Iperborea, 572 pagine, 19,50 euro
È stato il finlandese Waltari (morto nel 1979) l’ultimo grande autore di romanzi storici documentati, solidi, ambiziosissimi, affascinato da mondi lontani come l’Egitto (Sinuhe l’egiziano è il suo capolavoro), Roma, l’Etruria e appunto Bisanzio, anzi il momento della sua caduta: le forze in campo, la fine di un’epoca e l’avvento della modernità, di una visione nuova e laica della storia e dell’uomo.
Da Walter Scott a Thomas Mann, quella del romanzo storico è stata una grande avventura, che si è degradata via via nella superficialità, nonostante ottimi ritorni, anche qui da noi (Wu Ming, Evangelisti). Si chiamava
L’angelo nero la prima traduzione (Garzanti, dall’inglese) di questo affresco, che narra in forma di diario – tenuto da un mistico vagabondo del pensiero e della politica – i giorni tra il 12 dicembre 1452 e il 30 maggio 1453, quando Costantinopoli cadde e Istanbul nacque.
L’arte di Waltari è tutta nella ricostruzione dei modi di pensare e vivere di un’epoca, a cui – contrariamente al romanzo storico fasullo – non si attribuiscono idee, conoscenze e morali del nostro tempo. E ci si appassiona ai tormenti di Johannes Angelos, al suo incontro amoroso, allo scontro di visioni e interessi che porta alla fine grandiosa di un’epoca che ha partorito la nostra nella furia e nel sangue.
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