Edgar L. Doctorow, La coscienza di Andrew
Mondadori, 165 pagine, 19 euro
La traduzione giusta del titolo originale è Il cervello di Andrew, che in questo recente romanzo di Doctorow è uno scienziato cognitivo a colloquio con uno psichiatra nella clinica dove è andato a finire. Il dialogo è fitto, ma interrotto da brani in terza persona e dentro un montaggio pieno di flashback in cui tempi e riflessioni si mescolano, ma portando chiarezza e non confusione, a partire da domande fondamentali e non superficiali.
Andrew s’interroga sulle esperienze vissute (difficili, come la morte della sua bambina, o strane, come l’amore per la giovane Briony, che è figlia di nani) alla luce di una scienza pur sempre dominata dal caso e a confronto con la storia in un tempo e un contesto precisi (le torri gemelle, la presidenza di George Bush junior mai nominata ma narrata da dentro e che esige, per la comica violenza con cui è affrontata, la dichiarazione che tutto è opera di fantasia). Scruta le sue colpe, quanto c’è di libero nelle nostre scelte, “gli inganni del cervello pensante”. Un’impresa “pericolosa. Si passa attraverso infiniti specchi di autoalienazione. Anche questa è farina del sacco del cervello: non devi conoscere te stesso”.
Non è un minimalista, Doctorow, che si conferma uno dei più grandi – ed esigenti – degli scrittori statunitensi viventi, che sa interrogare e narrare dentro un’angoscia per la condizione umana tenuta a bada dall’ironia, tra la passione e la compassione.
Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2015 a pagina 80 di Internazionale, con il titolo “Cervello e coscienza”. Compra questo numero | Abbonati
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