Ghiaccio-nove, Mattatoio n. 5 e La colazione dei campioni di Kurt Vonnegut furono dei capisaldi della controcultura degli anni sessanta e settanta per la loro mistura di invenzione e realismo, di critica del “sistema” e di umorismo, di pacifismo e radicalismo. Irridevano due bersagli di sempre, il mondo dei militari e quello degli scienziati (quest’ultimo con un’aggressività degna di Arno Schmidt di Die Gelehrtenrepublik, La repubblica dei sapienti, del 1957, un romanzo che mi pare sia ancora inedito in Italia e che si può leggere in francese, più filosofico e avanguardistico e dunque meno comunicativo, ma opera di una specie di Vonnegut tedesco meno democratico e comunicativo; e d’altronde Vonnegut discendeva da una stirpe di migranti dalla Germania).
Per farlo, Vonnegut recuperava la libertà narrativa di un Jonathan Swift, di un Mark Twain.
Chi non conosce l’opera di Vonnegut farebbe bene a rimediare. I suoi primi libri erano romanzi di fantascienza pura, gli altri furono di fantascienza sperimentale – e come tali hanno per rivali solo i classici di George Orwell, Aldous Huxley, Evgenij Zamjatin e i romanzi contemporanei di J.G. Ballard e Philip K. Dick. Li caratterizza una sfida: come raccontare parlando ai più, e soprattutto ai lettori più giovani, l’orrore, l’atomica, il nazismo e la stupidità dell’american way of life? Non si racconta l’orrore con l’orrore, disse Vonnegut, lo si racconta mostrandone l’imbecillità che ne è la matrice.
I romanzi di Vonnegut sanno di libera conferenza, di cicalata da entertainer (per questo si citano Twain e Dickens, ma anche i fratelli Marx) e sono pieni di gag come i cortometraggi, amatissimi da Vonnegut, di Ollio e Stanlio con la loro “divina stupidità”, saltano di palo in frasca, chiamano in causa il lettore, citano, piangono e canticchiano, ma hanno al fondo un filo rosso solidissimo che riesce sempre a tenerli insieme, che in Mattatoio n. 5 è il bombardamento alleato su Dresda, una delle più belle città europee.
Dresda fu rasa al suolo nel febbraio del 1945 allo scopo di demoralizzare la popolazione tedesca (lo volle Churchill, con l’accordo degli alleati Stalin e Roosevelt), e vi furono – ma la disputa sul numero è ancora aperta – tanti morti quanto a Hiroshima. Vonnegut era lì, a Dresda, e fu quello l’avvenimento più importante della sua vita, che lo ha segnato per sempre. Era un prigioniero di guerra americano costretto a lavorare per il Reich nelle grotte sotto un mattatoio, e grazie a questo fu uno dei sopravvissuti.
Il sottotitolo del romanzo è “La crociata dei bambini”: ogni guerra è un’orrenda crociata di bambini, mandati a morire per interessi adulti, ci dice Vonnegut. Il protagonista del romanzo, alter ego dell’autore, si chiama Billy Pilgrim, oculista. Pilgrim, come il pellegrino, come gli “ognuno” delle rappresentazioni medioevali. Grazie all’esperienza di Dresda, Billy può attraversa il tempo, tutto è compresente nella sua vita di dopo, il passato e il futuro e una terza dimensione, quella di Tralfamadore, il pianeta dove è catturato e osservato – in compagnia di una bella fanciulla – da extraterrestri curiosi di capire come agiscono gli uomini.
Trasporre tutto questo in un film non era facile, e George Roy Hill non è Stanley Kubrick, Robert Altman o Arthur Penn, più adatti di lui a questa impresa superiore alle sue forze. Eppure i suoi film migliori, dei tanti che ha fatto, sono proprio quelli in sintonia con la controcultura, girati alla svolta tra anni sessanta e settanta: Butch Cassidy, La stangata e Mattatoio 5, film giovanilmente brillanti e movimentati, di ambizioni anticonformiste. L’edizione ora accessibile in dvd di Mattatoio n.5 è della Pulp Video, e la sua buona qualità permette di verificare la qualità del film, che è non un capolavoro (ma era difficile!) però è un buon adattamento di un grande e ardito romanzo, una buona divulgazione assistita da mezzi adeguati per le scene di massa (tedesche) più che per quelle fantascientifiche (tralfamodoriane).
La sceneggiatura di Stephen Geller è al servizio dello spettatore, e lo aiuta a muoversi tra i diversi piani narrativi per fargli capire trama e senso senza dover troppo faticare. Lo stile è in generale quello di quegli anni, non si può parlare per Hill di una personalità forte e di un’originalità evidente, ma aveva polso abbastanza per coordinare un cast tecnico di ottimi professionisti e per dirigere interpreti ben scelti. Michael Sacks è un Billy Pilgrim forse un po’ smorto, anche se fisicamente adeguato, e il contorno è perfetto. E c’è infine un bonus non da poco, che riguarda un altro dei miti della controcultura di quegli anni e di sempre, perché a firmare il commento musicale fu nientemeno che Glenn Gould, con buone variazioni bachiane tra organo e piano e con un uso intelligente delle musiche dal vero.
Un merito grande del film è, infine, di invogliare a rileggere il romanzo, veloce tenero feroce. E in generale a rileggere Vonnegut.
Mattatoio 5
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