Rodrigo Hasbún, Andarsene
Sur, 120 pagine, 15 euro
Una ragione d’interesse per questo romanzo scritto da un boliviano di 35 anni esigente e coraggioso (in originale, Los afectos, un titolo migliore) sta nella brevità o, meglio, nella capacità di concentrare più storie senza nulla perdere in tensione. Anzi guadagnando in interesse ed emozione dalle ellissi, dal non detto, dal fatto che la parola “io” corrisponde, quando il racconto è in prima persona, a un personaggio e non al narratore.
Fu un procedimento apprezzato un tempo da tanta avanguardia. In Italia l’egomania o egolatria dei narratori sta guadagnando anche i saggisti, e perfino gli storici (vedi certe recenti uscite feltrinelliane). Hasbún narra le vicende di una famiglia del secondo dopoguerra, tedeschi emigrati in Bolivia, intorno a un padre con un passato di operatore per documentari nazisti che organizza spedizioni archeologiche alla ricerca di città andine perdute e, nella seconda parte, attorno a una figlia guerrigliera che riesce a uccidere l’assassino del Che.
È una storia che ha basi reali. Intorno ci sono l’America Latina e l’Europa di anni turbolenti e le passioni e le delusioni di due generazioni. Hasbún non confonde mai il lettore, pur spiazzandolo, e mostra i suoi eroi con una sorta di calor freddo che gioca sulla nostra curiosità e permette di immaginare e partecipare lasciandoci un po’ di libertà.
Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2016 a pagina 84 di Internazionale, con il titolo “Intrecci boliviani”. Compra questo numero| Abbonati
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