Hanif Kureishi, Uno zero
Bompiani, 126 pagine, 16 euro
Torna Hanif Kureishi, con un breve romanzo di assoluto cinismo, magnificamente tradotto, sul jet set londinese interetnico, un bel mondo che non è quello del potere ma quello di chi ci gioca intorno, nel campo delle arti e in questo caso del cinema, quello “colto” e sbalordente, quello del jet set.
Waldo, un vecchio regista superpremiato e paralitico, con una moglie che ha vent’anni meno di lui, un amico critico cinematografico infido che se la fa e tutto intorno dive e mezzi gangster; un mondo ricco, contorto e verminoso, un panier de crabes claustrofobico e amorale. È il vecchio a parlare, a raccontare una sequenza di piccole e grandi porcate fino a quando non schiatta, riconciliato con la moglie: “Morire non è poi tanto male. Provateci anche voi, un giorno o l’altro”.
Hanif Kureishi non rinuncia a nessuna crudezza nell’aggiornare una lezione che viene da Losey e Pinter e prima ancora da Wilde e Shaw, con suprema abilità, una spietata arte del dialogo, e il vantaggio di una visione che è da dentro e da fuori, una sorta di antropologia di un mondo cui appartiene ma che gli fa anche ribrezzo. Un quadro d’ambiente istruttivo e feroce, da grande scrittore di una volta: “La trasgressione è la nuova regola, e imprenditoria il nuovo sinonimo di fregare il prossimo. Datti anche tu al crimine, disorganizzato s’intende”, dice Waldo al suo parassita, ma quello lo sa già da tempo…
Questa rubrica è stata pubblicata il 19 maggio 2017 a pagina 90 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it