(Markus Kolletzky, Getty Images)
Un ramo delle scienze biologiche dovrebbe dedicarsi a studiare le leggi di propagazione delle pile di libri. Come nascono, come si riproducono, come si accoppiano tra di loro, quali effetti hanno sull’ecosistema casalingo? Soppianteranno o meno gli abitanti umani? Quel che posso dire è che esiste in natura una specie di libri particolarmente dannosa - i funesti Moltiplicatori - il cui solo scopo sembra essere quello di garantire la crescita incontrollata delle pile. Sono i libri che elencano altri libri, presentandoli di solito come imprescindibili e facendoti sentire in colpa se non li hai ancora. Potremmo battezzare questo fenomeno evolutivo Meta-Tsundoku.
Un esempio serio? Il libro di Henry Miller di cui parlavamo l’altro giorno. Oppure Giorgio Colli, Per una enciclopedia di autori classici (Adelphi 1983). Un esempio meno serio? Russel Ash e Brian Lake, I libri più assurdi del mondo (Castelvecchi 2007). Per colpa di quest’ultimo sono stato a un passo dal comprare W.H. Henslowe, La rasatura della barba e l’uso del rasoio. Una moda tristemente diffusa tra i cristiani che è innaturale, irrazionale, disumana, peccaminosa e fatale (1847), H.T. Butlin, Il cancro allo scroto degli spazzacamini e argomenti correlati (1892) e il più recente Dio è un ameboide? (1966) di tale J.W. Doherty.
Ci sono poi - prenda appunti, il nostro biologo - i libri che aiutano la propagazione di altre specie di pile; per esempio (è il mio tallone d’Achille) quelli che portano alla creazione di pile di film. Solo questa settimana ne ho avuti per le mani tre. In sé, una pila minuscola; ma già vedo crescermi attorno le Torri dei DVD. Aiuto.
Jonathan Ross, Incredibly Strange Film Book (Simon & Schuster 1993)
È l’analogo cinematografico de I libri più assurdi del mondo. Ne esistono molte, di guide del genere, e io per fortuna ne ho solo un paio (l’altra è RE/Search #10: Incredibly Strange Films, RE/Search Publications, 1986). Attenti, sono dei luoghi di perdizione dove le brave ragazze non dovrebbero mai entrare. È in postacci del genere che uno scopre The Giant Claw (F.F. Sears, 1957), film su un ridicolissimo uccello gigante che dichiara guerra all’umanità, o Maniac (D. Esper, 1934), atroce intreccio di scienza folle, morte, paranoia e orrori vari a cui è dedicato un intero capitolo dal titolo Totally Deranged Movie. E ho menzionato solo i più presentabili in società. Il possesso di un libro del genere è la garanzia che ci ritroveremo, nel giro di dieci-quindici giorni, una pila di un metro e mezzo di DVD in salotto. Un piccolo motivo di orgoglio patriottico? Un buon trenta per cento dei film più assurdi del mondo sono italiani. Stringiamci a coorte.
Roberto Chiavini, Gian Filippo Pizzo, Michele Tetro, Guida al cinema di fantascienza (Odoya 2014)
Ai tempi dei poemi cavallereschi, chi avesse da dire qualcosa su una saga avventurosa e sui suoi eroi non scriveva un saggio: piuttosto, ne raccontava una nuova versione. Riscrivere era al tempo stesso una prosecuzione, un omaggio, una critica e un commento. Accade grosso modo lo stesso con il cinema di fantascienza, in cui la cosa migliore che si può trovare su un film raramente è uno studio critico, spesso è un suo rifacimento più o meno esplicito. Per esempio, Inception (C. Nolan, 2010) diventa molto più interessante se lo vediamo alla luce di Dreamscape (J. Ruben, 1984); e Strange Days (K. Bigelow, 1995) ci appare perfino un po’ rétro se lo consideriamo come una variazione sul tema del magnifico Brainstorm (D. Trumbull, 1983). Per raccapezzarsi in questa rete complessa di rapporti di parentela è prima di tutto necessaria una guida, meglio se molto enciclopedica. Questa di Chiavini, Pizzo e Tetro lo è a sufficienza, anche se gli autori sono un po’ troppo critici su quel che è accaduto nella fantascienza dal Muro di Berlino in poi.
Gianni Volpi, I film da vedere a vent’anni (Edizioni dell’Asino 2014)
Il sottotitolo corretto dovrebbe essere: …se volete passare inosservati tra i settantenni. Non è un problema di anagrafe, ma di stile. Il modello, antiquato se mai ce ne furono, è quello del Dictionnaire des films di Georges Sadoul, apparso nel 1965 e continuamente aggiornato, rimaneggiato e rivisto anche molti decenni dopo la morte dell’autore nel 1967. Ossia, la rassegna (in questo caso in ordine cronologico) di schede sui Grandi Capolavori della Settima Arte. L’autore, il critico Gianni Volpi, è morto nel 2013, prima di veder pubblicata l’opera. Alcune delle schede sono firmate da Paolo Mereghetti e da Goffredo Fofi, che con Volpi e altri fondò la rivista Ombre rosse. Tutto è amabilmente, deliziosamente antiquato - le scelte, il linguaggio, il tipo di giudizi, l’idea stessa di cinema, un’idea che porta a includere tra i titoli di una filmografia essenziale Corpo celeste di Alice Rohrwacher e a escludere, che so, Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Ma il vero salotto di Nonna Speranza è la filmografia per temi curata, in coda, da Livio Marchese: carrellate di titoli e trame radunate in voci come “Capitalismo e denaro”, “Contadini”, “Disagio psichico e psicanalisi”. Ho richiuso il libro con fragore quando, alla voce “Disabilità e handicap”, ho trovato Freaks di Tod Browning, The Elephant Man di** David Lynch e L’enigma di Kaspar Hauser di **Werner Herzog.
Era un po’ troppo anche per chi ama - come diceva quello? - l’odore delle case dei vecchi.
Guido Vitiello insegna alla Sapienza di Roma. Oltre che con Internazionale, collabora con il Corriere della Sera, il Foglio e il Sole24Ore. Ha un sito: UnPopperUno
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