*A Monrovia, in Liberia, il 1 agosto 2014. (Ahmed Jallanzo, Epa/Corbis) *

L’ebola è una malattia davvero terrificante, con un tasso di mortalità che arriva fino al 95 per cento (nonostante il tasso di decessi nell’attuale epidemia in Africa occidentale si attesti tra il 55 per cento e il 60 per cento).

Al momento è limitata a un’area interna coperta da foreste al confine tra Liberia, Sierra Leone e Guinea, anche se alcuni casi sono stati già registrati nelle capitali dei tre paesi.

La situazione potrebbe peggiorare di molto. Se l’ebola dovesse riuscire a propagarsi in un paese più ricco e densamente popolato come la Nigeria, i cui cittadini viaggiano in tutto il mondo, gli ottocento decessi registrati finora potrebbero diventare ottomila o ottantamila, o anche di più. E la cosa peggiore è che non esistono vaccini o cure efficaci per l’ebola.

Riformuliamo l’ultima frase. Non esiste una cura ufficialmente riconosciuta per l’ebola. Ci sono dei tentativi, alcuni dei quali hanno mostrato risultati promettenti nei test su primati non umani. Ma non hanno completato il processo di sperimentazione necessario all’approvazione per uso umano, perché nessuno vuole pagarne i costi.

La procedura normale negli Stati Uniti, dove ha sede più della metà delle principali case farmaceutiche del mondo (“Big Pharma”), è che la ricerca di base per i nuovi farmaci può essere finanziata da fondi governativi o persino dalla filantropia dei privati (come nel caso della donazione da duecento milioni di dollari fatta da Bill Gates per la ricerca sul vaccino per la malaria), ma la commercializzazione dei farmaci è a carico delle aziende. E molto spesso a queste ultime non importa niente.

Perché un farmaco completi l’intera procedura necessaria all’approvazione e all’immissione sul mercato servono milioni di dollari. Questi costi sono sostenibili se il farmaco verrà poi venduto a prezzi molto alti e sarà destinato a un utilizzo regolare e per periodi di tempo prolungati: un farmaco che combatte “malattie dei ricchi” come il cancro o le malattie cardiache, o persino una cosa come il Viagra.

Un vaccino destinato a un’unica somministrazione che verrebbe utilizzato principalmente da africani poveri non genererà mai un profitto, quindi viene ignorato.

Sull’onda del panico generato dall’ebola, il National institutes of health degli Stati Uniti ha programmato per il mese prossimo una prima fase di sperimentazioni su un vaccino per l’ebola su soggetti umani. Dopo questa però ci sono altre due fasi, e il vaccino non potrà essere disponibile prima del luglio del 2015. E persino in questa emergenza la ricerca viene finanziata da denaro pubblico, non dalle grandi aziende.

Il problema va ben al di lá dell’ebola o delle altre malattie tropicali. Purtroppo riguarda anche gli antibiotici che hanno eliminato le infezioni batteriche che un tempo erano responsabili del 25 per cento circa dei decessi tra gli adulti.

La più recente famiglia di antibiotici, i carbapenemi, è stata approvata nel 1980. Da allora non è stato sviluppato più niente, nonostante l’efficacia degli antibiotici stia rapidamente diminuendo con l’emergere di nuovi ceppi di batteri resistenti.

È una minaccia grave, ma gli antibiotici continuano a non generare grossi profitti, perché vengono usati per periodi di tempo relativamente brevi e per combattere infezioni specifiche. Perciò negli ultimi trent’anni le grandi aziende non hanno sviluppato alcun nuovo tipo di antibiotico.

Almeno 23mila persone sono morte lo scorso anno negli Stati Uniti per infezioni che un tempo erano facilmente curabili con gli antibiotici. Nell’Unione europea i morti sono stati 25mila.

Ci sono alcune misure che rallenterebbero moltissimo la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici. Bisognerebbe proibire ai medici di prescriverli quando non sono davvero necessari. I pazienti dovrebbero completare ogni ciclo di antibiotici iniziato e dimostrare di averlo fatto. Le vendite di antibiotici al di fuori delle farmacie in paesi come la Russia e la Cina dovrebbero cessare.

Soprattutto dovrebbe essere considerato un reato dare antibiotici agli animali solo per farli crescere di più e più in fretta. E’ così che viene utilizzato l’80 per cento degli antibiotici consumati negli Stati Uniti. Ma anche se tutte queste misure dovessero essere adottate, i batteri resistenti agli antibiotici continuerebbero ad aumentare, anche se molto più lentamente. La resistenza dei batteri è un processo evolutivo che può essere solo rallentato, non fermato.

Quindi abbiamo un disperato bisogno di antibiotici, e non se ne vedono all’orizzonte. Senza di essi, avverte la responsabile della sanità pubblica inglese Sally Davies, “la medicina moderna smetterebbe di esistere”.

Quasi tutti gli interventi chirurgici, compresi quelli più comuni come i parti cesarei o l’impianto di protesi all’anca, così come la maggior parte dei trattamenti per il cancro, comportano un alto rischio di infezioni che deve essere controllato con gli antibiotici. Come ha detto il primo ministro britannico David Cameron in un’intervista al Times, “Se non facciamo qualcosa torneremo agli anni bui della medicina, e infezioni e ferite curabili potrebbero tornare a uccidere”.

Ma non saranno le grandi aziende a riempire questo vuoto, perché rispondono ai loro azionisti e non all’opinione pubblica. La necessità di un intervento diretto da parte dello stato perché finanzi lo sviluppo di vaccini e antibiotici trascurati dalla ricerca privata è fortissima. E molto urgente.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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