Ottenere il riconoscimento come stato indipendente è un processo lento, ma la Palestina sta facendo progressi.

A settembre del 2013 il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ha ottenuto il permesso di sedere sulla “poltrona beige”, quella riservata ai capi di stato che attendono di raggiungere il podio e rivolgersi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Ora è arrivato un altro grande balzo in avanti. Il 13 ottobre il parlamento britannico ha approvato una mozione (con 274 voti favorevoli e 12 contrari) in favore del riconoscimento dello stato palestinese.

Bisogna tenere presente che si è trattato dell’iniziativa di un deputato e non del governo, e che ai ministri del gabinetto di David Cameron è stata imposta l’astensione.

Il documento non può costringere Cameron a riconoscere la Palestina, una decisione che il governo britannico prenderà solo “se lo riterrà opportuno e quando sarà la cosa migliore per favorire la pace”.

Ancora aria fritta e inutili simbolismi, insomma. Il voto del parlamento, però, è comunque un’importante anticipazione di cosa ci riserva il futuro. Dopo mezzo secolo in cui Israele ha potuto contare sull’appoggio incondizionato degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa occidentale, oggi l’opinione pubblica europea sta cambiando orientamento.

Fino a poco tempo fa gli unici membri dell’Unione europea ad aver riconosciuto la Palestina erano gli ex satelliti sovietici dell’Europa dell’est, e l’avevano fatto quando erano ancora governati dai comunisti.

Eppure all’inizio di ottobre il nuovo governo svedese ha dichiarato che intende riconoscere la Palestina, mentre altre votazioni sull’argomento sono in programma in Irlanda, Danimarca, Finlandia e soprattutto in Francia.

Probabilmente tutti i parlamenti approveranno il riconoscimento. “Sono preoccupato dal cambio di orientamento a lungo termine da parte dell’opinione pubblica a proposito dello stato ebraico”, ha spiegato l’ambasciatore britannico in Israele Matthew Gould, intervistato da una radio israeliana.

“Israele ha perso molti sostenitori dopo il conflitto di quest’estate e dopo l’annuncio dei nuovi insediamenti in Cisgiordania. Questo voto parlamentare dimostra in quale direzione soffia il vento”.

Lo stato ebraico fa finta di niente, ma questo cambiamento è molto importante per due motivi. Innanzitutto perché fa pensare che presto l’unico ostacolo al pieno riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite potrebbe essere il veto degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che probabilmente dovrà essere ribadito ogni anno.

La seconda ragione, ben più grave per Israele, è che dimostra quanto sia agli sgoccioli la pazienza dell’elettorato occidentale nei confronti delle tattiche ostruzionistiche del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Tra i giovani questa pazienza si è già completamente esaurita.

La maggior parte degli israeliani pensa che Netanyahu non abbia alcuna intenzione di permettere l’affermazione di uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ovvero quel 20 per cento della Palestina coloniale che non è stato incorporato nello stato ebraico dopo la guerra del 1948.

La maggior parte della sua forza politica viene dagli israeliani che sperano che riesca a scongiurare questo scenario.

Chiaramente Netanyahu non può manifestare questa intenzione, perché altrimenti perderebbe l’appoggio delle persone che vivono lontano da Israele e che di solito credono che la pace possa essere raggiunta solo attraverso la soluzione dei due stati, accettata da entrambe le parti con gli accordi di Oslo di 22 anni fa.

Questi sostenitori hanno chiuso un occhio davanti al comportamento del governo israeliano purché continuasse a fingere di sostenere gli obiettivi di Oslo. Nella camera dei comuni britannica, intanto, la fiducia nel primo ministro israeliano si sta esaurendo.

Richard Ottaway, presidente del comitato per gli affari esteri e alleato storico di Israele, ha dichiarato alla camera che “pensando agli ultimi vent’anni capisco che Israele si è progressivamente allontanato dall’opinione pubblica mondiale.

L’annessione di 380 ettari di Cisgiordania pochi mesi fa mi ha scandalizzato più di qualsiasi altra cosa nella mia vita politica. Mi ha fatto sentire uno stupido, ed è una cosa che non mi piace affatto”.

L’erosione del sostegno nei confronti di Israele è stata più lenta negli Stati Uniti, dove le critiche contro lo stato ebraico sono rare sui mezzi d’informazione e dove il congresso è ancora (per usare le parole di alcune fonti da Washington) “un territorio occupato da Israele”. Eppure questo processo è in corso anche là, e tra le giovani generazioni è già molto avanzato.

Secondo un sondaggio condotto da Gallup a luglio, quando imperversava la guerra a Gaza, più della metà degli statunitensi di oltre 50 anni giustificava le azioni di Israele (che hanno ucciso più di duemila palestinesi). Tra i giovani tra i 18 e i 29 anni la percentuale scendeva al 25 per cento.

Probabilmente entrambe le generazioni rimarranno ancorate alle loro convinzioni per tutta la vita, ma il tempo farà prevalere le opinioni dei più giovani. Le idee dei giovani statunitensi sono state probabilmente plasmate dalle azioni e dalla politica israeliana degli ultimi dieci anni.

Se Israele continuerà su questa strada per altri dieci anni, è prevedibile che anche negli Stati Uniti la maggioranza della popolazione vorrà riconoscere la Palestina.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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