Le dinastie politiche tendono a prosperare soprattutto nei paesi democratici molto grandi, dove un cognome famoso rappresenta un enorme vantaggio: pensate ai due presidenti Adams, ai due Roosevelt e forse presto a un terzo presidente Bush o a un secondo presidente Clinton negli Stati Uniti, o alla serie di primi ministri indiani provenienti dal clan Nehru-Gandhi. Al contrario, simili dinastie sono rare in Africa, ma ogni regola ha la sua eccezione.

Robert Mugabe governa lo Zimbabwe da quando è caduto il regime dominato dalla minoranza bianca, nel 1980. È in buona forma considerati i suoi 90 anni (e sua madre è vissuta fino a cent’anni), ma è inevitabile che di tanto in tanto ci si chieda chi gli succederà. La risposta di solito era che la competizione sarebbe stata tra due personaggi di spicco del partito di governo Zanu-Pf: la vicepresidente Joice Mujuru e il ministro della giustizia Emmerson Mnangagwa.

Mnangagwa era considerato il favorito di Mugabe per questa carica, ma Mujuru, che ha combattuto la “guerra del bush” contro il regime bianco e una volta ha abbattuto un elicottero militare con una mitragliatrice, godeva di un sostegno più ampio tra gli attivisti del partito. A ogni modo, poiché le prossime “elezioni” non si terranno prima del 2018 e Mugabe non sembra destinato a morire presto, la faccenda non sembrava urgente.

Poi, a settembre, Joice Mujuru ha conseguito un dottorato all’università dello Zimbabwe con una tesi sull’”imprenditorialità esplorativa strategica”, qualsiasi cosa significhi. Lo Zimbabwe è un paese povero e amministrato male, ma ha probabilmente la popolazione più istruita dell’Africa subsahariana, perciò un titolo accademico è un vantaggio in politica.

Non è chiaro quanto del lavoro della dottoressa Mujuru sia stato farina del suo sacco, ma la sua tesi è arrivata subito sugli scaffali della biblioteca dell’università. La cosa degna di nota è che durante la stessa cerimonia anche la moglie di Robert Mugabe, Grace, ha conseguito un dottorato in sociologia, nonostante si fosse iscritta all’università solo tre mesi prima. La sua tesi non è ancora stata pubblicata.

Da metà settembre, tuttavia, lo Zimbabwe ha vissuto tre mesi di offensiva politica che ha visto Grace Mugabe scalzare Joice Mujuru dal ruolo di erede designata alla presidenza dello Zimbabwe. Prima è stata nominata alla guida della federazione delle donne dello Zanu-Pf, nonostante la sua totale mancanza di esperienza politica. Poi si è imbarcata in un tour per “incontrare il paese” che l’ha portata a visitare le dieci province dello Zimbabwe e che ha avuto come ritornello la diffamazione di Joice Mujuru.

Ha definito la vicepresidente “corrotta, dedita all’estorsione, incompetente, pettegola, bugiarda e ingrata”, e ancora “assetata di potere, sciocca, stupida, una vera e propria disgrazia”. Ha accusato Mujuru di aver collaborato con l’opposizione e con i bianchi per distruggere le conquiste del paese dopo l’indipendenza. Infine ha accusato l’eroina della guerra d’indipendenza di aver tramato per uccidere suo marito, il presidente Robert Mugabe.

La resa dei conti è avvenuta la scorsa settimana al congresso del partito Zanu-Pf, che si è tenuto a Harare (ci si arriva imboccando quella che è stata appena ribattezzata via Dottoressa Grace Mugabe, l’autista vi lascerà proprio di fronte alla porta). Mujuru è stata espulsa dal partito, mentre Robert Mugabe dichiarava ai partecipanti al congresso: “Non so quanti libri si potrebbero scrivere sui crimini di Mujuru”. Il 9 dicembre è stata anche rimossa dalla carica di vicepresidente. Grace Mugabe è stata confermata alla presidenza della federazione delle donne, e tutti si aspettano che il suo prossimo incarico sarà quello di vicepresidente.

Ci sono state delle voci di dissenso: Jabulani Sibanda, un altro veterano della guerra d’indipendenza, ha definito la vicenda un “colpo di stato in camera da letto”, sottolineando che il “potere non è sessualmente trasmissibile”. Ma è stato accusato di offesa al presidente, e quasi tutti si sono limitati ad abbassare la testa. Mettersi contro i Mugabe fa male alla salute, e può anche uccidere.

Cosa sta succedendo davvero? Grace Mugabe, la first lady dello Zimbabwe, è una donna poco istruita e dai modi rozzi che ha conosciuto il presidente quando lavorava al centralino del palazzo presidenziale. Più giovane del presidente di 41 anni, ha cominciato una relazione con Robert Mugabe dalla quale sono nati due bambini già prima che la moglie del presidente morisse. Era nota con il soprannome di “first shopper” per la sua stravaganza, ma non ha mai mostrato alcun interesse per la politica.

Per questo alcuni osservatori sono convinti che non sia lei la vera scelta di Mugabe alla successione. Al contrario, ritengono che la stia solo usando per togliere di mezzo Joice Majuru e portare alla vicepresidenza il suo vero candidato, Emmerson Mnangagwa. Ma questa sembra una strategia troppo contorta per un autocrate come Mugabe, e non tiene conto di quanto forte sia l’influenza di Grace sul presidente.

La scorsa settimana, durante il congresso del partito, un fragile e a tratti smemorato Mugabe ha preso il microfono per sciogliere il comitato centrale uscente e si è lanciato invece in una lezione sulla lotta di liberazione. Grace gli ha scritto un biglietto chiedendogli di sedersi. Lui l’ha fatto, dicendo al pubblico: “Mia moglie mi ha scritto un biglietto. Dice che sto parlando troppo. Vengo trattato così anche a casa, perciò devo ascoltare”.

È assolutamente possibile che l’improvvisa ascesa di Grace sia una sua idea. Se così fosse, è una cattiva idea, perché non sopravviverebbe a lungo a Mugabe. Non ha capacità politiche né una base di consenso nel partito. Ma potrebbe comunque fare un involontario favore al paese, se la lotta interna al partito per liberarsi di lei dopo la morte di suo marito indebolisse il lungo e in gran parte nefasto monopolio dello Zanu-Pf sul potere in Zimbabwe.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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