Quando qualcuno dice che è il momento di voltare pagina, significa che c’è qualcosa di molto imbarazzante di cui non vuole discutere in pubblico. Il presidente Barack Obama si era espresso in questi termini riguardo al rapporto sull’uso della tortura da parte della Central intelligence agency (Cia) negli anni successivi all’11 settembre, pubblicato il 9 dicembre dalla commissione del senato sui servizi segreti.
Obama ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco quando la commissione guidata da Dianne Feinstein ha deciso di pubblicare comunque le 528 pagine del rapporto, sostenendo che “parte di ciò che ci (gli statunitensi) contraddistingue è che quando facciamo qualcosa di sbagliato, lo ammettiamo”. Ma appena il 5 dicembre il segretario di stato John Kerry aveva chiesto a Feinstein di non pubblicare il rapporto adesso, sostenendo che era “il momento sbagliato”. Allora quando sarebbe stato quello giusto?
Feinstein ha ignorato Kerry, perché sapeva (come lo sapeva lui) che se il rapporto non fosse stato pubblicato adesso non sarebbe stato pubblicato mai più. Il mese prossimo entrerà in carica un nuovo congresso, e la maggioranza dei membri della nuova commissione del senato sui servizi segreti saranno repubblicani. Avrebbero di sicuro fatto di tutto perché il rapporto non vedesse mai la luce.
C’è tuttavia almeno un senatore repubblicano che la pensa diversamente. John McCain, che ha sfidato Obama alle presidenziali del 2008, ha detto chiaramente che la tortura “di rado procura informazioni credibili. Ciò che potrebbe sorprendere, non solo i nostri nemici ma anche molti statunitensi, è quanto poco queste pratiche ci siano state utili a portare i colpevoli dell’11 settembre davanti alla giustizia e a scoprire e prevenire attacchi terroristici nel presente e nel futuro”.
McCain fu ferocemente torturato quando era un prigioniero di guerra nel Vietnam del Nord nel 1968, e alla fine rilasciò una “confessione” imbevuta di propaganda antiamericana. Come avrebbe detto in seguito: “Avevo imparato quello che tutti noi abbiamo imparato laggiù: ogni uomo ha un limite. Io avevo raggiunto il mio”. Dunque su questo argomento ne sa molto di più di qualsiasi altro politico statunitense, e probabilmente più di qualsiasi torturatore della Cia. Loro non si sono mai ritrovati al posto delle vittime.
Perfino McCain, tuttavia, si è limitato a dire che la tortura non era uno strumento utile. Ha evitato di parlare della cosa più importante, cioè del fatto che è anche un grave crimine secondo il diritto internazionale, perché questo avrebbe significato ammettere che gli alti funzionari dell’amministrazione repubblicana guidata dal presidente George W. Bush che hanno autorizzato la tortura tra il 2002 e il 2006 – compreso forse lo stesso Bush – dovrebbero essere perseguiti dalla legge.
Qualsiasi importante politico statunitense eviterà di parlarne. Negli Stati Uniti il dibattito contrapporrà quelli che insisteranno sul fatto che il waterboarding, i pestaggi, le “posizioni logoranti”, i bagni ghiacciati, la privazione del sonno, l’”alimentazione rettale” e le altre tecniche di tortura inflitte ai prigionieri nei “black sites” della Cia hanno prodotto informazioni utili e salvato la vita a molti statunitensi, e quelli secondo cui è stato tutto inutile.
Il rapporto della commissione del senato alimenta questo dibattito, esaminando venti casi di “successi” nella lotta al terrorismo ottenuti attraverso le torture con cui la Cia ha cercato di giustificare le proprie azioni. Il direttore della Cia John Brennan continua a difendere la tortura, sostenendo che “le informazioni ottenute grazie al programma sono state fondamentali per capire Al Qaeda”. Secondo le conclusioni della commissione, tuttavia, nemmeno uno di questi casi ha prodotto informazioni che non sarebbe stato possibile ottenere con altri mezzi.
Ma non è questo il punto. La legge non dice che la tortura è un crimine solo se non produce informazioni utili, così come non dice che l’omicidio è un crimine solo se non è vantaggioso. Dice semplicemente che la tortura è un crimine, sempre e in ogni circostanza. Ed è giusto così.
L’Unione americana per le libertà civili ha dichiarato che il procuratore generale dovrebbe nominare un giudice speciale per condurre “un’inchiesta indipendente e completa sui funzionari dell’amministrazione Bush che hanno creato, approvato, condotto e coperto il programma sulla tortura. […] Nel nostro sistema nessuno dovrebbe essere al di sopra della legge, eppure solo un pugno di funzionari di basso livello sono stati indagati per gli abusi. Questo è uno scandalo”.
Ma il dibattito sulla punizione dei responsabili di questi crimini avverrà soprattutto fuori dagli Stati Uniti, e non sarà portato avanti dai governi. Le decine di paesi alleati che si sono resi complici del programma di “consegna, detenzione e interrogatorio” hanno tutti esercitato il loro diritto a eliminare dal rapporto qualsiasi informazione relativa alla loro collaborazione.
Il dibattito dunque avrà luogo sui mezzi d’informazione e nelle organizzazioni internazionali. Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e la lotta al terrorismo, Ben Emmerson, ha dichiarato a Ginevra che gli alti funzionari dell’amministrazione Bush che hanno pianificato e approvato questi crimini devono essere processati, e lo stesso vale per i funzionari della Cia e del governo statunitense responsabili di pratiche di tortura come il waterboarding.
“Dal punto di vista del diritto internazionale”, ha dichiarato Emmerson, “gli Stati Uniti sono legalmente obbligati a consegnare i responsabili alla giustizia”. Be’, sì, ma meglio non trattenere il fiato in attesa che questo accada. Finora solo un ex funzionario della Cia, John Kyriakou, è stato imprigionato in relazione al programma di tortura: è stato condannato per aver confermato ai giornalisti che la Cia praticava il waterboarding sui prigionieri.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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