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Gli ultimi giorni del vecchio Medio Oriente

Manifestanti palestinesi protestano contro l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti a Gaza, 14 agosto 2020. (Mohammed Talatene, Dpa/Picture Alliance via Getty Images)

La “soluzione dei due stati” è ancora morta.

L’accordo per aprire rapporti diplomatici tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti – annunciato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 13 agosto a Gerusalemme – non apre nuovi scenari per una “pace giusta” tra israeliani e arabi. Semplicemente, offre una nuova veste a una realtà già esistente.

Prima dell’accordo era impossibile immaginare la nascita di uno stato palestinese indipendente nei territori occupati da Israele, e ora la situazione non è cambiata. C’era solo una piccolissima possibilità che Netanyahu annettesse i territori occupati prima che venisse annunciato l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti (anche se ne parlava spesso), e le possibilità adesso sono ancora minori.

Anche a livello internazionale non ci saranno veri cambiamenti. Israele e gli stati arabi sono già in pace tra loro, con la parziale eccezione di Siria e Libano, anche se poche persone nella regione la definirebbero una “pace giusta”. Sono anni che gli Emirati Arabi Uniti fanno affari con Israele in settori come il commercio o la pianificazione militare (in chiave anti-iraniana).

Egitto e Giordania intrattengono relazioni diplomatiche formali con Israele da decenni, e gli altri stati del Golfo presto seguiranno l’esempio emiratino, forse seguiti a ruota dall’Arabia Saudita. I palestinesi, che vivono perlopiù sotto l’occupazione israeliana, si lamentano comprensibilmente di essere stati abbandonati dai loro fratelli arabi, ma la verità è che questo è accaduto molto tempo fa.

L’unico rischio
Viene da chiedersi, dunque, cosa sia cambiato davvero con l’annuncio del 13 agosto. Molto poco, anche se il presidente statunitense Donald Trump ha definito l’accordo un “ENORME passo avanti”, e anche se il suo genero e consigliere speciale Jared Kushner ha promesso che l’accordo porterà “grandissimi cambiamenti” e “renderà più sicuro il Medio Oriente”.

Sciocchezze. L’ultima guerra arabo-israeliano c’è stata 47 anni fa, e da decenni nessuna delle due parti ha sviluppato dei piani seri in proposito. L’unico conflitto che potrebbe scoppiare oggi in Medio Oriente è quello tra l’Iran e gli stati arabi del Golfo (con o senza Israele).

Anche in questo caso il rischio è minimo. Ma soprattutto gli stati arabi del Golfo si mostrano spesso preoccupati al riguardo, e in un certo senso hanno finito per convincersi che l’Iran sia una vera minaccia. Sperano di avere il sostegno d’Israele in caso di un conflitto, poiché in termini militari Israele è la superpotenza della regione.

ll governo di Netanyahu odia l’Iran e dice di temere i suoi piani nella regione, ed è probabile quindi che alla fine aiuterebbe gli stati del Golfo. Tuttavia, sarebbe un deterrente molto più convincente in chiave anti-iraniana se questi alleati putativi arabi e israeliani si facessero vedere pubblicamente insieme, di tanto in tanto. È questa la principale ragione che potrebbe spingere gli stati del Golfo ad andare oltre i furtivi rapporti che hanno avuto finora con Israele.

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno ancora ampie riserve finanziarie, ma gli stati petroliferi più piccoli sono già a corto di soldi

Che vantaggio ne avrebbe Netanyahu? Un trattato di pace con un altro stato arabo sarebbe motivo d’orgoglio per qualsiasi primo ministro israeliano, ma questo accordo lo porterebbe anche a violare palesemente la promessa, fatta agli elettori israeliani di destra alla ultime elezioni, di annettere tutti i territori occupati o buona parte di essi.

L’annessione sarebbe puramente simbolica, perché Israele governa già quelle zone da 53 anni, ma avrebbe comunque bisogno di una scusa per venire meno alla sua promessa. L’accordo con gli Emirati Arabi Uniti è la scusa perfetta: il primo ministro israeliano può dire che ha dovuto rinunciare all’annessione dei territori palestinesi perché i nuovi partner d’Israele nel Golfo arabo ne sarebbero così delusi da rinunciare all’accordo.

Netanyahu insiste nel dire che l’annessione è solo rimandata. Donald Trump dice che gli israeliani “hanno accettato di non farlo. Si tratta di una concessione molto intelligente da parte d’Israele. Adesso non è più sul tavolo”. Entrambi i leader hanno una prospettiva che non va oltre qualche mese, quindi non hanno idea di quanto irrilevanti queste piccole manovre diplomatiche appariranno retrospettivamente.

Il vecchio Medio Oriente sta vivendo i suoi ultimi anni. Nelle ultime due generazioni nel mondo arabo le relazioni di potere sono state definite dalla ricchezza petrolifera, e adesso quella ricchezza sta rapidamente tramontando. Otto anni fa gli stati arabi produttori di petrolio guadagnavano circa mille miliardi di dollari all’anno grazie alle esportazioni. Oggi i loro profitti petroliferi sono scesi di due terzi (fino a trecento miliardi di dollari) e diminuiranno ancora.

Il covid-19 ha accelerato questo declino, ma sia la domanda sia i prezzi del petrolio stavano calando da tempo, e la crescente ostilità nei confronti dei combustibili fossili, in un mondo che si surriscalda velocemente, garantiscono che non ci sarà un’inversione di tendenza.

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno ancora ampie riserve finanziarie, ma alcuni degli stati petroliferi più piccoli sono già a corto di soldi. Alla devastazione economia farà seguito il crollo politico: perfino la mappa geografica del Medio Oriente potrebbe essere diversa tra dieci o vent’anni.

E quali paesi emergeranno come le uniche grandi potenze del Medio Oriente? I due con economie moderne e diversificate, e poco dipendenti dai proventi petroliferi: Israele e Turchia.

Che strana piega prendono talvolta gli eventi, no?

(Traduzione di Federico Ferrone)

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