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I fondali marini di Nauru fanno gola all’industria mineraria

Isola di Nauru, settembre 2018. (Jason Oxenham, Ap/Lapresse)

Un mese fa sembrava soltanto l’ennesima vicenda in cui la combinazione tra una azienda mineraria senza scrupoli e la disperazione della povera gente provoca danni devastanti all’ambiente, mentre le istituzioni di controllo, lente e lontane, si rivelano incapaci di svolgere il loro computo. E invece si è scoperto che la vicenda è più complicata, con un risvolto positivo.

L’azienda mineraria in questione si chiama DeepGreen, ma si sta trasformando in un’entità più grande denominata semplicemente The Metals Company. La povera gente invece sono gli undicimila abitanti di Nauru, una piccola isola indipendente del Pacifico occidentale senza mezzi di sostentamento.

L’istituzione lenta e lontana, infine, è la giamaicana International seabed authority (Autorità internazionale dei fondali marini, Isa), un ente intergovernativo creato nel 1994 nell’ambito della legge del mare delle Nazioni Unite per regolare le attività sul fondale marino in aree che esulano dalle competenze delle leggi nazionali (ovvero gran parte del pianeta).

I noduli sottomarini
In linea di principio la funzione principale dell’Isa è quella di controllare l’attività mineraria sul fondale, ma finora l’istituzione si è limitata a emettere permessi per le operazioni esplorative. Nessuno voleva avviare un reale processo di estrazione, e il processo è stato talmente lento che oggi, a 27 anni dalla fondazione dell’Isa, non sono state nemmeno definite le regole che dovrebbero governare l’estrazione in alto mare.

Ma l’avvento di tecnologie innovative, dai telefoni e i computer alle batterie per i veicoli elettrici e la conservazione di energia, ha creato una domanda enorme di cobalto, nickel, rame, manganese e terre rare, minerali che in alcune aree del fondale marino abbondano sotto forma di “noduli polimetallici” delle dimensioni di una patata.

I noduli devono essere risucchiati da un impasto di sedimenti del fondale marino usando giganteschi macchinari sottomarini

E così la DeepGreen ha avviato una collaborazione con il presidente di Nauru, Lionel Aingimea, il cui paese ha il controllo esclusivo su 75mila chilometri quadrati di fondali nella zona nordpacifica di Clarion-Clipperton (tra le Hawaii e il Messico). Il 30 giugno la DeepGreen ha comunicato all’Isa l’intenzione di cominciare a estrarre minerali nella zona entro i prossimi due anni.

Il segreto di questa strategia è che se l’Isa non dovesse completare entro due anni dalla richiesta il suo “codice minerario” (che avanza estremamente a rilento) il paese in questione avrà il diritto di procedere con l’attività mineraria rispettando le regole in vigore, sostanzialmente inesistenti.

È difficile non essere solidali con Nauru. La superficie dell’isola è paragonabile a quella di Manhattan fino alla 42esima strada, e l’80 per cento del territorio è stato sfruttato per l’estrazione di fosfati dalle potenze coloniali durante il ventesimo secolo. Quasi metà della popolazione è affetta da diabete di tipo 2. Il 70 per cento degli abitanti è obeso. Sull’isola non esistono più risorse di valore.

La DeepGreen, che ha sede a Vancouver, in Canada, ispira meno compassione. L’azienda ha come unico obiettivo quello di fare soldi a palate, ma l’amministratore delegato Gerard Barron sa come indorare la pillola. “Il mondo sta vivendo una grande spinta verso l’allontanamento dai combustibili fossili. Di cosa abbiamo bisogno per questo processo? Di costruire molte batterie”.

Barron definisce i noduli polimetallici “batterie in una roccia”, però le cose non sono così semplici. I noduli devono essere risucchiati da un impasto di sedimenti del fondale marino usando giganteschi macchinari sottomarini a profondità che raggiungono i seimila metri, per poi essere separati dai sedimenti e dall’acqua di mare (che viene pompata nuovamente verso il fondale).

Pianure abissali
“Prevediamo di filtrare appena cinque centimetri di sedimento sottomarino e ri-depositarne il 90 per cento sul fondale”, precisa Barron. “Riteniamo che gran parte del sedimento si riposizionanerà nel giro di ore o al massimo giorni, in un raggio che va dalle decine alle migliaia di metri dal luogo di origine”.

“Il sedimento nella pianura abissale contiene una quantità di CO2 quindici volte inferiore rispetto a quella che si trova sulla Terra, e non esistono fenomeni conosciuti che potrebbero provocare il rilascio del carbonio nell’atmosfera da quattro chilometri di profondità”, aggiunge. Insomma Barron non è il classico imprenditore minerario spietato e insensibile.

Paesi come Papua Nuova Guinea, Vanuatu e le Fiji hanno proposto una pausa precauzionale per l’attività mineraria

Ma perché Barron ha tutta questa fretta? Forse perché la DeepGreen sta inserendo la Metals nell’indice di borsa Nasdaq e ha bisogno di mostrare “progressi” ai potenziali investimenti? In ogni caso l’iniziativa della DeepGreen e di Nauru ha scatenato una forte reazione negativa. Questo significa che difficilmente l’attività mineraria comincerà prima dei prossimi cinque anni, che probabilmente diventeranno dieci.

Più di 450 esperti di scienza e politica del mare provenienti da 44 paesi hanno risposto all’iniziativa firmando una dichiarazione in cui chiedono una moratoria immediata sull’estrazione mineraria in alto mare. Paesi più grandi di Nauru che si trovano nella regione, come Papua Nuova Guinea, Vanuatu e le Fiji, hanno proposto una pausa precauzionale per l’attività mineraria.

Le grandi aziende potenzialmente interessate ai metalli dei fondali marini come quelle del gruppo della Bmw, della Volvo e della Samsung Sdi (queste ultime entrambe produttrici di batterie) hanno dichiarato che non accetteranno minerali estratti dal fondale marino nella loro catena di produzione fino a quando non sarà dimostrata la loro sostenibilità dal punto di vista ambientale.

Prima o poi potremmo essere costretti a estrarre minerali dai fondali marini, perché il passaggio dai combustibili fossili all’energia sostenibile richiederà una grande dose di questi metalli. Ma esiste ancora un grande margine di miglioramento nell’attività di riciclo, e se non basterà dovremo comunque valutare i costi ambientali delle operazioni sul fondale marino rispetto a quelle sulla Terra.

Una moratoria è sicuramente il modo giusto di procedere. La DeepGreen ha inavvertitamente concretizzato questa possibilità.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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