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In Italia una persona su tredici vive in povertà assoluta

Il rifugio di un senzatetto sulle rive del Tevere, a Roma, il 14 marzo 2016. (Max Rossi, Reuters/Contrasto)

In Italia nel 2015 circa una persona su tredici vive in povertà assoluta. È quanto emerge dall’ultimo rapporto Istat che descrive quantitativamente il fenomeno della povertà e mostra cosa è cambiato nell’ultimo anno. Le cose sono leggermente peggiorate: se nel 2014 viveva in povertà assoluta il 6,8 per cento dei residenti in Italia, nel 2015 il dato è salito al 7,6 per cento della popolazione.

In tutto ci sono 1 milione e 582mila nuclei familiari che vivono in povertà assoluta (il 6,1 per cento delle famiglie rispetto al 5,7 del 2014). Se invece si contano le persone si arriva a 4 milioni e 598mila poveri: il numero più alto mai registrato dal 2005 a oggi. Per farsi un’idea, ci sono tanti poveri quanti i cittadini di tutto il Veneto.

Secondo la definizione dell’Istat rientrano nella categoria della povertà assoluta le famiglie – o le persone – che non possono permettersi un paniere di fabbisogni essenziali, come un’alimentazione adeguata, un’abitazione riscaldata e il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.

Stando ai dati, alcuni segmenti della società sono stati coinvolti più di altri nell’aumento della povertà assoluta. Tra questi spiccano gli stranieri residenti in Italia. Già un anno fa il 23,4 per cento delle famiglie di soli stranieri viveva in povertà, ma oggi il dato è salito al 28,3 per cento (in sostanza, circa due famiglie di stranieri su sette vivono in povertà).

Un altro segnale di peggioramento si è registrato nelle grandi città, dove nel 2015 la povertà colpisce il 7,2 per cento delle famiglie (rispetto al 5,3 del 2014). Inoltre i dati sono divisi per età: il 10,2 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni è povero (l’anno precedente era l’8 per cento). La quota scende progressivamente nelle fasce di età più alte, arrivando al 4 per cento di poveri tra gli ultrasessantacinquenni, che sono l’unica fascia d’età che mostra un calo percentuale di poveri (nel 2014 erano il 4,7 per cento).

La pubblicazione dell’Istat include un’ulteriore definizione di povertà, chiamata povertà relativa. A differenza della povertà assoluta, quella relativa misura la povertà di una famiglia in rapporto al livello economico medio di vita del paese. L’istituto di statistica nazionale inserisce in questa categoria le famiglie con due persone che spendono meno di 1.051 euro al mese (mentre per le famiglie con più di due componenti la soglia viene ricalcolata con una scala di equivalenza).

La povertà relativa è rimasta stabile per le famiglie, ma è leggermente aumentata se si calcola sulle persone (salendo in un anno dal 12,9 al 13,7 per cento della popolazione). Come nel caso della povertà assoluta, anche quella relativa risulta più presente nel Mezzogiorno e tra le famiglie più numerose.

La distribuzione della povertà in Italia riflette il tradizionale divario tra nord e sud. Calabria, Sicilia, Basilicata e Molise hanno, in proporzione, più del doppio dei poveri rispetto alla media nazionale, che è pari al 10,4 per cento, e più di quattro volte di alcune regioni del centro-nord. In altre parole in certe regioni del Mezzogiorno una persona su quattro è povera. In Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto risulta esserlo una su venti.

Non sono queste le uniche definizioni di povertà. Per esempio l’Eurostat, l’istituto di statistica europeo che mette a confronto i dati dei paesi europei, utilizza un’altra definizione di povertà materiale. Ma la sostanza non cambia, soprattutto se ci si concentra sulle cause e le possibili soluzioni per contrastare la povertà.

La povertà prolifera per cause multiple e strettamente correlate. Secondo Caterina Cortese, responsabile delle politiche sociali della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, organizzazione attiva nel contrasto della povertà estrema, la crisi del 2008 ha innescato meccanismi di esclusione sociale che si manifestano ancora oggi. “Stiamo scontando le conseguenze della crisi economico-finanziaria, delle politiche di austerità, della scarsa propensione del nostro paese a considerare il sociale come una spesa necessaria sulla quale investire”, spiega Cortese.

Secondo Cortese non servono misure una tantum, ma un approccio strategico. Per contrastare la povertà è necessario creare posti di lavoro dignitosi che non siano tirocini o voucher. Servono politiche per la casa e di sostegno al caro-affitti. Occorre agire sulla dispersione scolastica e considerare l’istituzione di un reddito di inclusione sociale. “In altre parole bisogna agire sui meccanisimi che rendono povere o quasi povere le persone”, spiega Cortese, “possiamo parlare di povertà in relativa, assoluta, estrema, a rischio, deprivazione materiale o altro ancora, ma quel che davvero serve è guardare la povertà nel suo complesso e incidere sulle radici di ciò che la genera”.

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