“Ohio!”, ha esclamato Charlie Pierce, un portavoce della campagna di Mitt Romney, entrando nel bar dell’hotel Westin di Boston a mezzanotte e quaranta del supermartedì. Aveva appena cominciato a circolare la notizia che Mitt Romney aveva vinto in Ohio, il più importante dei dieci stati in cui si è votato il 6 marzo, quello che avrebbe potuto mettere fine alla battaglia per la nomination.
Ma la vittoria risicata di Romney non ha messo fine a un bel niente. Anzi, i risultati contrastanti della grande giornata elettorale (sei stati per Romney, tre per Santorum, uno per Gingrich) confermano che la corsa andrà avanti, e che Romney dovrà sudare per raggiungere il numero di delegati necessari a ottenere la nomination. Il risultato del supermartedì è stato superambiguo.
Lo staff di Romney, improvvisamente sparito dopo il messaggio un po’ esitante del candidato (“Non vi deluderò”), si è ripresentato tre ore dopo al bar, davanti ai giornalisti, per rivendicare la vittoria. Non era un compito facile. Alla fine dei conti, in Ohio Romney si è salvato a stento da una bruciante sconfitta contro Rick Santorum, il suo principale rivale. Ma anche una vittoria per il rotto della cuffia ha il sapore della delusione. I giornalisti al bar del Westin hanno ignorato il commento di Pierce sull’Ohio e lo hanno bersagliato con una domanda più pressante: qual è la prossima tappa?
*Traduzione di Fabrizio Saulini.
Internazionale, numero 939, 9 marzo 2012*
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