La capitale indiana New Delhi è assediata da più di due milioni di agricoltori, che due settimane fa si sono riuniti alle porte della città per protestare. Uomini vecchi e giovani, donne e perfino bambini sono accampati nelle strade nel freddo pungente dell’inverno. Hanno messo da parte la paura del coronavirus e si sono preparati per il viaggio portando scorte di cibo sufficienti per mesi. Il movimento è cominciato quando migliaia di contadini dei vicini stati del Punjab e dell’Haryana sono partiti con i loro trattori verso la capitale. Le proteste sono poi aumentate con l’arrivo di nuovi gruppi da altri stati e non accennano a diminuire. Più di cinquecento organizzazioni di agricoltori di tutta l’India appoggiano le richieste dei manifestanti e il loro invito a un bharat bandh, o sciopero nazionale, e hanno ottenuto il sostegno dei sindacati e dell’opposizione.
La scintilla che ha fatto scoppiare le proteste è stata l’approvazione di tre nuove leggi sull’agricoltura, introdotte dal governo durante la pandemia di covid-19 senza consultare le parti interessate, cioè gli agricoltori e i governi locali responsabili del settore agricolo secondo la costituzione indiana. A prima vista le leggi sembrano vantaggiose per il settore: allentano le restrizioni sull’acquisto e la vendita di prodotti, rimuovono i vincoli sulle scorte e permettono il lavoro a contratto sulla base di accordi scritti. Il governo punta a creare “un ecosistema in cui agricoltori e commercianti abbiano la libertà di scelta”.
Gli agricoltori la vedono in modo diverso. Hanno paura che la “modernizzazione” portata da queste leggi spiani la strada alla commercializzazione predatoria dell’agricoltura da parte di magnati con buoni agganci politici. Altri sostengono che le leggi deregolamentano le transazioni di prodotti agricoli e il lavoro a contratto in un modo che danneggia gli agricoltori, e i più piccoli temono di essere i più colpiti.
Gli agricoltori hanno svolto un ruolo cruciale nel primo trionfo elettorale di Modi, che aveva promesso di raddoppiare i loro redditi
Queste misure sono state probabilmente l’ultima goccia per molti agricoltori, che negli ultimi anni hanno protestato con toni sempre più accesi. È vero che i redditi agricoli stavano già diminuendo prima che Narendra Modi arrivasse al governo nel 2014. In effetti, proprio gli agricoltori hanno svolto un ruolo cruciale nel primo trionfo elettorale di Modi, che aveva promesso di raddoppiare i loro redditi in cinque anni. Ma il premier non ha mantenuto quella promessa e gli agricoltori invece hanno dovuto accettare prezzi ancora più bassi di prima rispetto ai loro costi. Molte altre promesse di Modi al settore agricolo si sono rivelate vane.
Negli ultimi anni, il crollo della domanda ha mantenuto bassi i prezzi dei prodotti agricoli. È stato il risultato di errori politici che hanno distrutto molte attività economiche e intaccato i mezzi di sussistenza: l’iniziativa di demonetizzazione del novembre 2016 e la conseguente tassa nazionale sui beni e servizi è stata mal concepita e peggio implementata. Il governo non ha usato la politica fiscale per rilanciare l’occupazione e la domanda, quindi sia i redditi sia i consumi sono diminuiti, mantenendo bassi i prezzi dei prodotti agricoli. La pandemia ha reso ancora più difficile per gli agricoltori portarli sui mercati, mentre i prezzi sono rimasti ben al di sotto dei livelli del 2019.
Gli agricoltori sospettano che le nuove leggi suoneranno la campana a morto per il sistema pubblico di approvvigionamento alimentare, che, anche se imperfetto, garantisce ancora una protezione dai capricci del mercato. Una delle nuove leggi mira a eliminare gli “intermediari”, gli agenti che hanno diritto a una commissione. Ma gli agricoltori preferirebbero interagire con queste persone piuttosto che con società con le quali è impossibile trattare. Senza contare che devono anche preoccuparsi dei vincoli ambientali e del degrado del suolo derivanti da una sempre maggiore dipendenza dai prodotti chimici, dall’acqua scarsa e contaminata e dai cambiamenti climatici.
Finora il governo si è occupato degli agricoltori come ha fatto con le altre proteste. All’inizio li ha ignorati, poi ha detto che erano stati manipolati dall’opposizione. Ha anche insinuato che gli agricoltori sikh sono “antinazionali” e di conseguenza “terroristi”, e ha usato la forza per reprimere le proteste. Ha scatenato i mezzi d’informazione e i troll dei social network cercando di screditare le richieste dei contadini.
Modi si è rifiutato di abolire le nuove leggi. È possibile che le proteste di strada si calmino, soprattutto per il freddo, che ha già causato la morte di diversi manifestanti. Ma il suo è un atteggiamento arrogante. Circa la metà della forza lavoro dell’India dipende dall’agricoltura, mentre due terzi della popolazione totale (e il 70 per cento di quella rurale) dipendono dai redditi agricoli. La determinazione dei contadini e il sostegno di cui godono tra la gente fanno pensare che stavolta le cose potrebbero andare diversamente.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
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