La postfascista Meloni non dispiace alle aziende italiane
Villa d’Este a Cernobbio è uno dei luoghi più lussuosi e raffinati sulle rive del lago di Como, il che è tutto dire. Costruita nel quindicesimo secolo e circondata da un lussureggiante parco di 25 ettari, questo paradiso rinascimentale circondato da montagne è stato trasformato in un albergo di lusso alla fine del diciannovesimo secolo, e da allora ha mantenuto un’aura di raffinatezza e discrezione.
Una volta all’anno, all’inizio di settembre, questo segretissimo luogo di potere spalanca le sue porte e diventa improvvisamente oggetto di grande attenzione. È qui, infatti, che si tiene il forum Ambrosetti, spesso descritto dai mezzi d’informazione italiani come una “piccola Davos” lombarda. Per tre giorni, diplomatici, capi d’azienda e politici di tutti i ceti sociali si incontrano e si scambiano opinioni su questioni planetarie.
Ma al di là di queste considerazioni, Cernobbio è anche il luogo migliore per tastare il polso delle élite economiche del paese. L’edizione 2022 del meeting, che si è svolta dal 2 al 4 settembre, in piena campagna elettorale e in un contesto d’incertezza globale, è stata oggetto di attenzioni ancora maggiori del solito.
Atmosfera piuttosto consensuale
Una persona in particolare ha attirato tutti gli sguardi: la leader della formazione postfascista Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, data come probabile vincitrice delle elezioni del 25 settembre, che si terranno in seguito alle dimissioni, a luglio scorso, del presidente del consiglio Mario Draghi. Nulla nell’itinerario personale di Meloni lasciava presagire che avrebbe trovato in Cernobbio una terra di conquista. Una lunga storia personale di attivismo in gruppi postfascisti, un euroscetticismo di lunga data e, forse il difetto principale, le sue origini romane: gli ostacoli non erano pochi. Ma la leader di Fratelli d’Italia ne è uscita con tutti gli onori.
“L’anno scorso, a Cernobbio, comandava Mario Draghi e le élite economiche italiane volevano soprattutto farlo durare il più a lungo possibile. Quest’anno Draghi è in uscita [rimarrà capo del governo fino alla formazione di un governo, dopo le elezioni] e la sensazione generale è che non ci sia molto da essere inquieti a causa del contesto politico interno. I problemi di cui preoccuparsi non mancano, dall’inflazione al ritorno della guerra in Europa, ma Giorgia Meloni non sembra essere uno di questi”, confida un frequentatore abituale del forum Ambrosetti, sorpreso da questo clima piuttosto consensuale.
Il continuo indebolimento dei partner di destra negli ultimi mesi non ha smesso di favorirla
Due settimane prima, al meeting di Rimini, organizzato dal potente movimento cattolico Comunione e liberazione, molto radicato negli ambienti economici del Norditalia, la leader dei postfascisti era già stata calorosamente acclamata, superata alla prova dell’applausometro solo dallo stesso Mario Draghi. A Cernobbio l’accoglienza è stata un po’ meno unanime, ma più che cordiale.
Come spiegare questo fenomeno, visto che fino a poco tempo fa la possibilità che i postfascisti andassero al potere era considerata come uno scenario catastrofico?
Innanzitutto, c’è il continuo indebolimento dei partner di destra della candidata, che negli ultimi mesi non hanno smesso di favorirla. L’ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, un tempo idolo della comunità imprenditoriale, è oggi l’ombra di se stesso e il suo partito Forza Italia ha smesso da tempo di essere il naturale punto di riferimento per i decisori economici, e molti dei suoi dirigenti hanno preso armi e bagagli e hanno ingrossato le file di Fratelli d’Italia.
Quanto all’altra componente dell’alleanza di destra, la Lega, il suo leader Matteo Salvini ha moltiplicato proposte scandalose che lo rendono, agli occhi della comunità imprenditoriale, un preoccupante fattore di incertezza. “In fondo la sua posizione estremista ha contribuito a dare credibilità a Giorgia Meloni, rendendo la prospettiva postfascista, al confronto, abbastanza accettabile”, spiega lo storico e politologo italiano Giovanni Orsina, della Libera università internazionale di studi sociali di Roma, specialista delle destra italiane.
Atlantista convinta
Giorgia Meloni parla molto bene l’inglese e il francese, non ha mai ceduto alla retorica antiélite, a differenza di Matteo Salvini, e non dà l’impressione di eludere le questioni di bilancio. Interrogata a Cernobbio sulla proposta della Lega di un drastico taglio delle tasse (introduzione di una flat tax al 15 per cento, che sostituisca l’imposta progressiva), ha preso chiaramente le distanze dal suo concorrente: “Attenzione a non fare promesse che non possiamo mantenere. Dobbiamo tenere in considerazione i nostri conti pubblici”, ha replicato, sottolineando la serietà delle sue proposte e la loro natura ponderata.
E poi ci sono le questioni geopolitiche, sulle quali le posizioni di Fratelli d’Italia sono inequivocabili. Erede di una tradizione politica (il Movimento sociale italiano, nato nel 1946 dalle ceneri del Partito nazionale fascista) che scelse risolutamente di schierarsi con gli Stati Uniti nella guerra fredda, Giorgia Meloni è un’atlantista convinta, che in passato non ha mai mostrato compiacimento nei confronti della Russia di Vladimir Putin.
Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio scorso, Fratelli d’Italia, pur essendo all’opposizione, ha dimostrato una costante solidarietà con le posizioni espresse dal governo (a differenza della Lega e del Movimento 5 stelle, due formazioni che fanno parte della coalizione guidata da Mario Draghi e che non hanno mai perso occasione per far sentire la propria voce). Interrogata a Cernobbio sulla questione delle sanzioni contro la Russia, Giorgia Meloni ha avuto una risposta inequivocabile: “Se l’Italia prende le distanze dai suoi alleati non cambierà nulla per Kiev, ma per noi sì”, ha affermato, facendo della solidarietà italiana ai suoi partner una questione di “credibilità”, e ricordando che l’80 per cento delle esportazioni italiane sono verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti e che, in caso di sconfitta ucraina, “a vincere non sarà solo la Russia di Putin ma anche la Cina”.
Nessuna rottura radicale
Infine l’ultimo elemento che contribuisce a calmare le preoccupazioni della comunità imprenditoriale alla vigilia delle elezioni è l’atteggiamento accomodante del presidente del consiglio, Mario Draghi, nei confronti della leader di Fratelli d’Italia. Sebbene i due abbiano posizioni diverse su molte questioni, non perdono occasione per mostrare la loro stima reciproca, diffondendo così l’idea che l’arrivo al potere di una coalizione di destra non sarebbe uno sconvolgimento.
“A Cernobbio, a margine delle discussioni, ha cominciato a circolare una voce insistente: Giorgia Meloni avrebbe intenzione di mantenere al suo posto l’attuale ministro delle finanze, Daniele Franco, considerato il più stretto collaboratore di Mario Draghi. La cosa si è spinta al punto che il diretto interessato è stato interrogato al riguardo, smentendo immediatamente. Ma il solo fatto che sia potuta circolare un’ipotesi del genere dimostra che, dal punto di vista della comunità imprenditoriale, l’ipotesi Meloni non è affatto vista come una rottura radicale”, ha confidato un testimone chiave del dietro le quinte del forum Ambrosetti.
Attento a fare il suo dovere fino in fondo, Mario Draghi si guarda bene dal prendere una posizione aperta. Si tratta anche di non ipotecare il futuro, nel caso in cui nei prossimi mesi si presentasse una nuova opportunità di candidarsi alla presidenza della repubblica. Da questo punto di vista, è nell’interesse di entrambe le parti che la transizione avvenga in un clima sereno. E anche la comunità imprenditoriale detesta gli scossoni e gli sbandamenti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.