Era lì. Aspettava. Da anni. Come tutti. Aspettava la fine di Silvio Berlusconi. Intanto continuava a vincere elezioni alla grande, quasi senza fare campagna elettorale. È sempre stato una macchina da voti. Era già presidente della regione nel 1995 (con il 42,6 per cento dei voti, circa 2,2 milioni) e poi ha sempre trionfato: ha ottenuto il 62 per cento dei voti (3,3 milioni) nel 2000, il 53,8 per cento (2,8 milioni) nel 2005 e il 58 per cento (2,7 milioni) nel 2010.

Era molto, ma molto potente. Governava una regione ricchissima con dieci milioni di abitanti. Quasi una nazione. Una nazione molto ricca. Ha costruito perfino un nuovo, altissimo edificio per ospitare il suo governo. Più alto del Duomo, più alto del simbolo di Milano, la Madonnina. Regnava con un impero costruito sul potere della chiesa, con il movimento Comunione e liberazione (nato nel 1968) e con la potenza economica della misteriosa Compagnia delle opere. Un regno costruito insieme a un movimento di lotta che non lottava più – la Lega nord – e sotto il controllo del grande condottiero Silvio Berlusconi. Roberto Formigoni ha costruito un nuovo partito-azienda in Lombardia, alleato e rivale di quello di Berlusconi, e anche una classe dirigente intorno alla chiesa e alle istituzioni collegate.

In fondo negli ultimi anni era abbastanza facile governare la Lombardia. I soldi c’erano, eccome. La sinistra, invece, era totalmente assente e, quando c’era, era corrotta quasi quanto la destra. Nel frattempo, però, il governo della regione era popolato da personaggi sempre più improponibili: un certo Pier Gianni Prosperini e perfino un’amica del grande Silvio, Nicole Minetti. Ma non aveva importanza. Roberto Formigoni vinceva comunque e sembrava poter andare avanti per sempre. Ma voleva di più. Non era soddisfatto della Lombardia e del suo nuovo palazzo di vetro. Voleva di più. Voleva tutto. Voleva scendere a Roma.

E intanto aspettava. Si era fatto eleggere anche senatore. Nel 2006 diceva, parafrasando Celentano, che il senato sarebbe stato rock. Poi ha capito che Silvio andava avanti lo stesso e quindi è tornato a Milano, ancora ad aspettare. Ha fatto esattamente la stessa cosa nel 2008. Si è fatto eleggere al senato e poi ha dichiarato: “Fare il semplice senatore non mi interessa”. Si è messo in gioco personalmente. Ma Berlusconi sembrava ancora potente e lui, ancora una volta, è tornato a Milano. Per aspettare. Nel suo altissimo palazzo, nuovo di zecca. Intanto ha fatto tutto quello che diceva Silvio. Non lo ha mai criticato, ha raccolto centinaia di firme, ha messo degli sconosciuti in lista, ha messo in piedi un sistema dove gli ospedali fanno operazioni inutili oppure falliscono. Ha costruito cimiteri per feti abortiti. E ha preparato l’Expo. Una pioggia di miliardi in una regione che ha un’emergenza ‘ndrangheta.

Poi tutto è crollato. Inaspettatamente. Gli scandali erano troppi, perfino per la Lombardia. La Lega ha staccato la spina. Berlusconi non c’è più, ma sembra che Formigoni abbia aspettato troppo. La discesa a Roma sembra sempre più improbabile. Forse, però, potrebbe compiere un vero miracolo. Una cosa quasi impossibile: far vincere la sinistra in Lombardia.

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