È nato e cresciuto nella periferia di Roma, al Quarticciolo, e ha cominciato presto a tifare per la Lazio. Poi è diventato anche un giocatore della Lazio, un idolo della curva nord. Ma poi ha giocato anche nella Juve, nel Milan, [nel Napoli][1], nel West Ham e nello Sheffield Wednesday. È uno che litiga un po’ con tutti, soprattutto con gli allenatori. Una testa calda.
A un certo punto della sua vita, quest’uomo decide di farsi dei tatuaggi. Molti tatuaggi. Che cosa decide di mettere sulla sua pelle, per sempre, Paolo Di Canio? Sul braccio destro sceglie [la scritta “Dux”][2]. Ma il vero pezzo forte va [sulla sua schiena][3]. Lì sceglie un’immagine di Benito Mussolini, con l’elmetto. Ma per un fantasista come Paolo Di Canio, gli anni novanta sono difficili in Italia. C’è il pressing Sacchiano. Non c’è spazio per il dribbling. Ed è costretto a emigrare per trovare lavoro, come Zola e altri.
Va in Scozia e poi in Inghilterra. Gioca per il Celtic, poi per Sheffield Wednesday, West Ham, e Charlton. Non parla mai del fascismo, non cita mai Mussolini (a parte di qualche frase in un libro scritto con un bravissimo giornalista, Gabriele Marcotti). Segna dei gol strepitosi. Vince, addirittura, un premio fair play. I tifosi cantano il suo nome con la musica de La Donna è mobile.
Poi, decide di finire la carriera davanti al “suo” popolo, quello della Lazio. E perde la testa. Dopo un derby del 2005 va verso la curva e fa il saluto romano. Diventa un caso nazionale. Prende una squalifica (dopo un gesto simile contro la Juve). La foto del derby fa il giro del mondo. Paolo di Canio,quando si ritira da calciatore, vuole restare nel mondo del pallone.
Vuole diventare un allenatore. Prende il patentino. Cerca di allenare il West Ham, dove gli hanno dedicato una sala. Ma alla fine il suo primo incarico arriva con lo Swindon Town, in serie D. Trascina lo Swindon in serie C. Giocano bene. Di Canio va spesso sotto la curva. Ma litiga ancora, e si dimette.
Finalmente, il grande salto. Sunderland. Serie A. Una squadra con una storia ricchissima e un sacco di tifosi. In 14 anni in Inghilterra quasi nessuno ha parlato di fascismo e Mussolini, o di tatuaggi. Di Canio è conosciuto per i suoi gol, e per avere spinto un arbitro un po’ sovrappeso a terra, prendendo una maxi-squalifica.
Ma stavolta succede il finimondo. Un dirigente del Sunderland, l’ex ministro degli esteri David Miliband, si dimette per protesta. Sua madre (ebrea) era scampata alla shoah in Polonia, e suo padre (ebreo) era scappato dai nazisti nel 1940. Adesso il passato, i tatuaggi, il saluto romano sono tutti oggetto di discussione su Twitter, in tv, alla radio, nei giornali.
Il saluto romano del 2005 finisce sulla prima pagina del Sun. È una festa dell’ignoranza. Girano dei commenti assurdi. I trolls scendono in campo. Alla prima conferenza stampa Di Canio si rifiuta di rispondere alle domande sul fascismo. “Sono un uomo di famiglia, parlerò solo di calcio. Non siamo in parlamento”, dichiara.
Gli ex minatori di Durham, storicamente di sinistra, protestano. Altri sostengono Di Canio. La stampa di destra tira fuori l’idea che Mussolini era sostanzialmente una buona persona fino al 1938. Come Berlusconi nel giorno della memoria. E intanto Di Canio resta al suo posto, almeno per un po’, con i tatuaggi ben coperti.
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