Diciotto anni fa, 1995. Uno stadio italiano di periferia. Serie A. Il giocatore dell’Inter Paul Ince, inglese e nero, è preso di mira da un coro dai tifosi della Cremonese. Cantano “negro di merda”. Ince non ci sta. Applaude sarcasticamente lo stadio. E viene ammonito dall’arbitro.

Siamo nel 2013. Cinque giorni fa Mario Balotelli, italiano e nero, è stato preso di mira da un coro dai tifosi della Roma. In realtà non era un coro. Era il solito “buuh-buuh” razzista. L’arbitro ferma il gioco per novanta secondi. Poi si riprende. In seguito la Roma è stata punita con una multa di 50mila euro. Il comunicato ufficiale dice così: “Per avere i suoi sostenitori, nel corso della gara, indirizzato continuativamente a tre calciatori della squadra avversaria cori e grida espressivi di discriminazione razziale, inducendo l’arbitro, al 2’ del secondo tempo, a disporre la sospensione della gara per farli desistere da tale biasimevole comportamento”.

Diciotto anni. E non è cambiato niente. Siamo allo stesso punto. Anzi. Le cose sono peggiorate. Perché in 18 anni ci sono state migliaia di multe (completamente inutili e anche dannose, perché per la mentalità ultrà sono una specie di premio), diffide, dichiarazioni burocratiche, discussioni e ondate di retorica. Ma siamo ancora lì. Ancora molti giocatori devono continuare a giocare mentre sono insultati da migliaia di persone. Nessuno viene mandato fuori dallo stadio.

La polizia non interviene mai. Le società pagano le multe, oppure fanno fare un bel discorso dallo speaker dello stadio per coprire la loro complicità. Secondo voi, cari lettori, a un ultrà frega qualcosa di quello che dice lo speaker dello stadio? Il razzismo è stato tollerato per anni e, peggio, è stato incoraggiato da una politica che ha sottovalutato il problema, perché

the show must go on.

Ma ora qualcuno ha detto basta. Finalmente. Prima c’è stato Kevin Prince Boateng, che ha lasciato il campo durante un’amichevole. Ora Mario Balotelli. Da quando ha cominciato a giocare in serie A, Balotelli è stato oggetto di razzismo negli stadi. Sempre. Quasi ogni settimana. “Negro di merda”, “non ci sono negri italiani”, “buuh-buuh”.

Lui ha subìto tutto. È andato via per qualche anno. E poi è tornato. Ma non ce la fa più a giocare ancora con questi cori intorno, gli stessi di 18 anni fa a Cremona. Ha fatto una dichiarazione forte, decisa: “Fino a qualche mese fa pensavo che l’unica soluzione al problema fosse non dare troppa importanza a queste cose, far finta di niente. Adesso ho cambiato idea: in futuro abbandonerò il campo se mi saranno rivolti cori razzisti”.


Mario Balotelli ha perfettamente ragione. The show must not go on. Basta multe. Basta diffide. Basta retoriche. È ora di finirla. Uscire dal campo. E non per 90 secondi. Per sempre. Finito. E i tifosi razzisti possono insultare un campo vuoto. Oppure possiamo andare avanti così e tra altri 18 anni potrei scrivere lo stesso articolo. We shall overcome, Mario, we shall overcome.

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