La sfida per Keir Starmer, durante i suoi primi cento giorni, sarà quella di presentarsi gradualmente ai cittadini britannici. Assumere il più difficile ruolo che esista in politica, come è stato descritto da vari leader dell’opposizione, nel bel mezzo di una crisi significa che non avrà molte occasioni di conquistarsi l’attenzione della gente.
Allo stato attuale non ha altra scelta che quella di sostenere il governo e al contempo insistere perché faccia meglio alcune cose specifiche. Perfino Jeremy Corbyn – per chi lo ricorda – ha dovuto soffocare il suo istintivo anticonservatorismo nelle ultime settimane.
È probabile che Starmer farà meglio di lui in questo. Per quanto poco i cittadini sappiano della sua esistenza, si tratta di un conciliatore nel caos della politica sulla Brexit del Partito laburista. Era una persona scrupolosa che prima di entrare in politica esercitava una professione seria, e che voleva negoziare un compromesso sulla Brexit con il governo di Theresa May.
Un lancio morbido
Se Starmer riuscirà a farsi notare per il sostegno a Johnson, a Rishi Sunak, o a Matt Hancok, quando questi annunceranno misure che la popolazione approva, avrà già fatto meglio del suo predecessore. Se attirerà l’attenzione per aver rivolto le giuste domande, nel giusto tono di chi ha a cuore l’interesse nazionale, tanto meglio. E dopo tutto il campo dei controinterrogatori forensi è esattamente quello nel quale si è formato Starmer.
È tuttavia inevitabile che il nuovo leader laburista sarà introdotto alla nazione con quello che, negli ambienti di marketing, viene chiamato un lancio morbido. Il minimo di pubblicità necessaria, nessuna fanfara e bassi livelli di consapevolezza pubblica all’inizio. Farà, non c’è dubbio, molte delle cose essenziali. Un grande gesto di scuse e riconciliazione con gli ebrei britannici. Un deciso repulisti del personale di grado elevato vicino a Corbyn. Un governo ombra che rappresenti meglio le forze del partito parlamentare. Ma questi cambiamenti non avranno la copertura stampa ossessiva “a reti unificate” che normalmente aiuterebbero a costruire la sua immagine di nuovo leader presso gli elettori.
Il suo obiettivo è mantenere nel partito il maggior numero possibile d’iscritti, che oggi sono mezzo milione
D’altro canto assumere le proprie funzioni in un periodo come questo aiuterà Starmer a fare un passo avanti rispetto al passato. In tempi normali, avrebbe potuto temere che lo spettro della Brexit tornasse a perseguitarlo.
Mancano solo alcune settimane alla fine della scadenza di giugno, entro la quale il Regno Unito potrebbe chiedere un’estensione del periodo di transizione prima dell’effettiva uscita dall’Ue. Se Starmer chiedesse un’estensione, potrebbe alienarsi quegli elettori che accusano il Partito laburista di cercare di ribaltare la loro posizione assunta in occasione del referendum. Ma nel mezzo di una crisi globale, chi se ne accorgerà? Può darsi che sia un dilemma di second’ordine per Johnson, ma la posizione dei laburisti, semplicemente, non conta nulla.
In tempi normali, inoltre, Starmer avrebbe potuto preoccuparsi del contraccolpo da parte degli iscritti al partito che lo hanno appena eletto, pronti a sanzionare qualsiasi eresia contraria all’ortodossia di Corbyn. Il suo obiettivo è mantenere nel partito il maggior numero possibile d’iscritti, oggi mezzo milione.
Forgiare la reputazione
Ma durante una crisi solo una manciata di persone, tra i più devoti, custodirà gelosamente le sacre reliquie. Corbyn è già un politico di un’altra epoca. Appartiene al periodo a.c. – ante coronavirus.
Corbyn e alcuni dei suoi sostenitori cercano di affermare la loro importanza sostenendo che l’epidemia “ha dimostrato che quando c’è una crisi, i soldi si trovano”. Si tratta di un’affermazione piuttosto falsa, perché anche i governi di centrodestra di tutto il mondo sono concordi nel dire che prendere denaro a prestito è la giusta risposta durante una crisi.
Non è un argomento controverso, e le idee di Corbyn non contano più. Quel che conterà nei prossimi cento giorni saranno questioni specifiche, come premere sui ministri per verificare che stiano rispondendo alle indicazioni degli scienziati nella maniera più efficace, o l’elaborazione di un sostegno economico a persone e aziende.
In fondo Starmer dovrà forgiare la propria reputazione in una battaglia più a lungo termine, quella per il ritorno alla normalità economica. È probabile che il Partito laburista richiederà maggiori protezioni per i salari bassi e i disoccupati, e anche un ritorno più morbido all’equilibrio fiscale, proprio come avevano fatto Gordon Brown e Alistair Darling nel 2010. Ma Starmer lo farà a modo suo, con il suo cancelliere ombra, e senza il bisogno di fare riferimento al periodo di Corbyn, destinato a mio avviso a svanire velocemente dalla memoria collettiva.
Le enormi dimensioni della recessione post-coronavirus permetteranno di dimenticare buona parte delle politiche che Starmer ha ereditato da Corbyn senza neppure il bisogno di prenderne esplicitamente le distanze. Nuove priorità sostituiranno le vecchie.
Potrebbe quindi darsi che i sostenitori di Tony Blair e quelli di Corbyn, che aspettano di vedere quale dei due gruppi Starmer tradirà, si stiano ponendo le domande sbagliate. Di fronte agli appelli, da una parte, a “rompere con il corbynismo in tutte le sue manifestazioni e fantasie” e gli avvertimenti, dall’altra, a mantenere il “consenso a favore delle politiche socialiste” ereditato dal suo predecessore, può darsi che Starmer si dimostrerà un blairiano nei suoi primi cento giorni. Ma solo nel senso che adotterà una strada intermedia: la terza via.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Independent.
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