La cosiddetta “crisi” che ha colpito Europa e Nordamerica non è altro che un paravento utilizzato da chi non ha perso nulla negli ultimi anni per nascondere l’inaccettabile nuovo ordine economico-sociale. Tra le vittime di questo processo c’è anche la cultura artigianale – autentica, libera e antica quanto la civiltà – che ha subìto un danno senza precedenti nella storia. Nonostante ciò, nel mondo del vino, un gruppo che unisce ricchi e poveri, destra e sinistra (pur essendo dominato di anarchici), è riuscito miracolosamente a resistere e a prosperare.
A lungo ho sperato che i miei colleghi registi seguissero l’esempio di queste persone, che nel giro di dieci anni sono riuscite a trasformare il concetto che sta alla base del vino (soprattutto in Italia e Francia), denunciando il cinismo e la manipolazione chimica dei vini convenzionali. I viticoltori naturali sono diventati talmente radicali e apprezzati da spingere un reazionario come il critico americano Robert Parker a definirli di recente “una truffa scandalosa da estirpare”. La posizione di Parker è surreale, soprattutto se consideriamo il fatto che il critico ha appena venduto il suo* brand* (ovvero la sua reputazione e il prestigio del suo nome) incassando decine di milioni di dollari da alcuni speculatori finanziari di Singapore.
La verità è che migliaia di agricoltori (tra cui molti neofiti che hanno abbandonato settori in agonia come il giornalismo, il cinema, la fotografia e le arti) si sono impegnati a produrre vino mantenendo un profondo rispetto per la storia locale. I viticoltori naturali hanno rifiutato il compromesso cinico e burocratico dei vini “biologici” e sono riusciti a rinnovare una libagione che regala gioia e conforto da ottomila anni, voltando le spalle alle regole del mercato e condividendo un rispetto assoluto per la salute della terra e delle persone che ne berranno il frutto.
Non c’è da stupirsi se in Europa e in Nordamerica il numero di wine bar e ristoranti naturali sta crescendo vertiginosamente, grazie soprattutto a una generazione di giovani consumatori molto più consapevoli delle frodi commerciali rispetto a quelli della mia età.
Negli ultimi tempi ho notato con grande soddisfazione che un numero crescente di colleghi registi comincia, consapevolmente o meno, a seguire l’esempio dei viticoltori naturali, opponendosi a un sistema di produzione, distribuzione e marketing sempre più obsoleto, corrotto e cinico.
Negli Stati Uniti Ira Sachs, vincitore in passato del Sundance film festival, ha completato la sua seconda opera grazie al sito di crowdfunding Kickstarter. Dopo il sublime Keep the Lights on, Sachs ha firmato Love is Strange, una riflessione a cuore aperto sulla vita di una coppia di attempati gay di New York interpretati da John Lithgow e Alfred Molina. Dopo la trionfale proiezione all’ultimo Sundance, il film sta per approdare al festival di Berlino, e deve la sua esistenza agli utenti della rete che hanno creduto nell’ambizioso progetto di Sachs investendo ognuno una somma compresa tra i 50 e i 500 dollari. A Berlino ci sarà anche Fisher Stevens, che dopo aver vinto un Oscar per il miglior documentario ha deciso di realizzare un film senza budget seguendo con la cinepresa un gruppo di manifestanti di Occupy Wall street dopo il declino del movimento.
Il brasiliano Karim Ainouz, anche lui atteso a Berlino questa settimana con il delicato e lirico Praia do Futuro, ha scelto un approccio vicino all’anticonformismo onirico degli anni settanta per raccontare una storia di dolore e desiderio (gay ed etero) tra abitanti del Nordeste brasiliano sul cammino di una Germania illusoria. In Francia, il vincitore della Palme d’or del 2008, Laurent Cantet, ha rinnegato l’industria cinematografica francese e le sue limitazioni a volte sciovinistiche, e per tre settimane ha passato tutte le notti su una terrazza di Cuba in compagnia tecnici e attori locali filmando una riflessione sul triste destino della rivoluzione e sul suo significato per tutti quelli che nel mondo hanno abbandonato la speranza di un vero cambiamento.
Les Enfants Rouges di Santiago Amigorena.
Ma la proposta più radicale è probabilmente quella di Santiago Amigorena, illustre scrittore e regista franco-argentino che nell’ultimo anno e mezzo, ogni volta che ne ha avuto la possibilità, ha riunito quattro giovani attori parigini e due giovani tecnici (uno è Marco Graziaplena, talentuoso direttore della fotografia romano trapiantato a Parigi) per girare in uno stato di sperimentazione permanente un film “realizzato interamente senza passaggi di denaro”. Molti nella stampa francese hanno elogiato il film definendolo un geniale omaggio “al potere di rottura della nouvelle vague”, e Amigorena ha insistito affinché il suo film fosse proiettato in un solo cinema compiendo un gesto unico, politico e artigianale in un ambiente inebriato dal sogno del massimo profitto e della massima diffusione.
Giovanna Tiezzi, Valeria Bochi e Corrado Dottori. (Foto di Paula Prandini per Resistenza naturale)
Ispirato da Amigorena, Sachs e altri, anche io ho appena realizzato un piccolo film che esce dagli schemi di mercato, animato unicamente dalla mia passione per il cinema e per il vino, e dalla capacità di entrambe di trasmettere la vita. Resistenza naturale avrà la fortuna di essere proiettato per la prima volta al festival di Berlino questa settimana accanto alle opere di Sachs, Ainouz, Stevens e altri. Il film racconta la sincerità (una qualità diventata radicale) e il coraggio di quattro viticoltori naturali italiani (Elena Pantaleoni, Stefano Bellotti, Giovanna Tiezzi e Corrado Dottori) e di un geniale guardiano dell’arte cinematografica (Gian Luca Farinelli della Cineteca di Bologna). E celebra il fatto che in Italia la cultura contadina è sempre andata di pari passo con la cultura del cinema.
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