La crisi cilena maturava da trent’anni
Se c’è un momento simbolico in cui è stato chiaro che il governo di Sebastián Piñera aveva perso la scommessa di ribaltare la situazione a suo favore ed evitare un disastro completo in quella che è ritenuta l’esplosione sociale più grave dal ritorno della democrazia in Cile, quasi trent’anni fa, questo è stato il 21 ottobre 2019. Al tramonto, quel giorno, mentre le proteste si estendevano e si diffondevano in tutto il paese, una folta colonna di manifestanti era arrivata pacificamente nel settore Los Militares, una delle più tradizionali roccaforti della destra cilena. Si diceva che fossero determinati a occupare le case di alcuni ministri e dello stesso presidente Piñera, ma sono stati intercettati da un contingente di soldati in tute da combattimento e di carri armati che si erano schierati su avenida Apoquindo, in un’immagine surreale e inquietante che ricordava i giorni peggiori della dittatura.
A quel punto i militari erano già intervenuti in tutto il paese, ma era diverso vederli in azione in quel luogo, in tempo reale, con immagini diventate virali sui social network. Le manifestazioni di malcontento popolare contro il governo avevano raggiunto il territorio naturale della destra, una cosa insolita, come tante altre avvenute in questi giorni in un paese che non somiglia a quello di poche settimane fa e che venerdì 25 ottobre ha convocato la più massiccia manifestazione dalla fine della dittatura, con circa 1,2 milioni di persone radunate nel centro della capitale .
Uno degli slogan più ascoltati e letti nelle strade in questi giorni è stato: “Il Cile si è svegliato”.
Il Cile si è svegliato ottimista per la prospettiva di riforme politiche a lungo rimandate, ma anche angosciato a causa dei saccheggi e degli abusi della polizia e dei militari che fino al 26 ottobre, secondo il rapporto dell’Istituto nazionale per i diritti umani, hanno ucciso cinque manifestanti e ne hanno feriti quasi un migliaio, circa la metà a colpi d’arma da fuoco.
Quello che ha impiegato un po’ di tempo a svegliarsi è stato il governo, una coalizione di destra che inizialmente ha scelto di criminalizzare le proteste sociali, concentrando il suo discorso sul problema della sicurezza pubblica derivante da gravi incidenti, incendi e saccheggi di supermercati, banche, negozi e mezzi di trasporto pubblico. Ma la portata delle proteste l’ha costretto a ribaltare il discorso.
Se qualche giorno prima aveva detto “siamo in guerra”, all’inizio della scorsa settimana il presidente ha moderato il linguaggio, ha chiesto il dialogo e proposto un “patto sociale” che miri a contenere una crisi che non aveva affrontato nemmeno da lontano, nonostante sia maturata a fuoco lento per quasi trent’anni.
Quella che era cominciata una settimana prima come una protesta degli studenti, che avevano organizzato un’invasione della metropolitana di Santiago in seguito all’aumento di 30 pesos (0,037 euro) del prezzo del biglietto, si è trasformata in una rivolta di tale proporzioni che ha praticamente paralizzato il paese, con un coprifuoco in vigore fino alle prime ore di lunedì 28 ottobre, militari nelle strade e gravi danni alle infrastrutture pubbliche e private.
A una settimana dall’inizio, le manifestazioni di malcontento popolare sono cresciute e si sono diffuse in tutto il paese. Lo stesso è successo con le notizie di abusi e violenze compiute da polizia e militari. L’Istituto nazionale per i diritti umani ha ricevuto segnalazioni di casi di tortura e ha presentato 14 denunce di violenza sessuale. I video delle percosse inflitte ai cittadini da militari in uniforme sono di una crudezza che lascia a bocca aperta.
Le richieste sono profonde e molteplici, e la maggior parte mira a riforme strutturali di uno dei modelli economici più liberisti al mondo
Una delle cinque vittime della violenza commessa dagli uomini in divisa è un uomo di 39 anni, morto per le percosse causate dalle bastonate date da un gruppo di poliziotti di un quartiere della classe media nella capitale. Inoltre ci sono altri 14 casi di persone morte in incendi o incidenti legati alle manifestazioni.
Su richiesta dello stesso governo cileno, l’ex presidente e attuale alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha annunciato l’invio di una commissione di osservatori e Amnesty international ha fatto lo stesso, esortando il presidente Piñera “a interrompere la violenta repressione contro coloro che oggi esercitano il loro legittimo diritto a manifestare pacificamente”.
Sebbene lo stato di emergenza, in teoria già revocato, fosse stato decretato per ripristinare l’ordine pubblico, il saccheggio e gli eccessi si sono attenuati ma non sono cessati e, lungi dall’aver placato gli animi, la presenza dei militari nelle strade ha portato a una maggiore pressione da parte dei cittadini, che sono tornati in piazza per chiedere il loro rientro in caserma e la fine del coprifuoco.
Un patto liberista
Tuttavia, anche se lo faranno, l’uscita dalla crisi non sarà facile e la soluzione non è vicina. Le richieste sono molteplici e la maggior parte mira a delle riforme strutturali di uno dei modelli economici più liberisti al mondo, eredità di una dittatura che non è stata completamente annientata con la sconfitta alle urne alla fine degli anni ottanta.
Il patto su cui si è fondata la nuova democrazia dal marzo del 1990 ha comportato – oltre all’impunità e alle alte quote di potere per il dittatore, che continuava a guidare l’esercito – il radicamento di un modello economico che ha portato risultati macroeconomici esemplari per il contesto regionale, ma anche profonde differenze sociali.
Sebbene il Cile sia nella media dell’indice di distribuzione della ricchezza nella regione, è il paese più disuguale tra quelli che fanno parte dell’Ocse e il suo sistema pensionistico – progettato durante la dittatura da uno dei fratelli del presidente ed ex ministro di Pinochet – è affidato a fondi di investimento privati che sono stati fortemente messi in discussione per le loro alte commissioni e i risultati: la pensione media a marzo era di circa 322 euro, a cui si aggiungono continui aumenti di prezzo per beni e servizi.
Solo quest’anno le bollette dell’elettricità sono aumentate del 19,7 per cento. E secondo un rapporto del 2019 della Cámara chilena de la construcción, negli ultimi otto anni il reddito medio è cresciuto del 24,7 per cento, mentre il costo medio delle abitazioni è aumentato del 67,8 per cento. Comprare una casa è molto difficile per la maggior parte dei cileni. Agli aumenti di prezzo, alle pensioni e agli stipendi bassi, nonché alle difficoltà di accesso ai servizi sanitari e abitativi, si sono aggiunti scandali di corruzione di politici e imprenditori che sono stati debolmente sanzionati, se mai lo sono stati.
Il patto sociale che risale all’inizio della transizione verso la democrazia sembrava duraturo. Finché non si è incrinato e ha lasciato traboccare di tutto, causando ciò che la moglie del presidente, in una nota audio che è trapelata alla stampa, ha paragonato a “un’invasione aliena”.
E, naturalmente, da allora, per le strade si sono riversati manifestanti vestiti da alieni.
Le manifestazioni di malcontento sono dirette principalmente contro il governo, non c’è dubbio. Secondo un sondaggio realizzato da Activa Research la sfiducia verso il governo è al 78,6 per cento, la più alta registrata da qualsiasi esecutivo democratico dopo la fine della dittatura. Ma al momento nessun settore politico può contare su dati positivi.
Sotto accusa c’è l’intero sistema politico, e questo forse spiega il massiccio sostegno ricevuto dalle proteste e la loro diffusione nel tradizionale elettorato di destra. Tuttavia, questa convergenza di vedute tra la popolazione non trova una controparte con cui negoziare. Ciò ostacola un’uscita istituzionale e, allo stesso tempo, apre la strada a leadership populiste e autoritarie.
Al congresso, nel frattempo, dove il governo è sostenuto da una minoranza, l’opposizione è divisa da prima della crisi e non è riuscita a concordare una strategia comune di fronte agli ultimi eventi, con un’eccezione: questa settimana, approfittando della situazione, la camera dei deputati ha approvato il progetto che abbassa la settimana lavorativa da 45 a 40 ore, presentato dalla deputata comunista Camila Vallejos.
Sebbene il discorso antisistema del movimento possa in parte spiegare la sua trasversalità, la maggior parte di coloro che sostengono le proteste sono giovani di sinistra nati dopo la dittatura che hanno trasformato le manifestazioni in una catarsi collettiva.
Uno strano miscuglio, con gruppi urbani che celebrano il risveglio circondati da una minoranza di gruppi radicalizzati e dalla violenta risposta di una polizia militarizzata, eredità della dittatura, che affronta un altro degli slogan di questi giorni: “Ci hanno portato via così tanto che ci hanno portato via la paura”.
(Traduzione di Stefania Mascetti)
Questa articolo è stato pubblicato dal quotidiano spagnolo La Vanguardia.