La voce circolava da una settimana e dopo la batosta inattesa arrivata ieri con i dati sull’ultimo trimestre, che inchiodano il Giappone nella recessione tecnica, il primo ministro Shinzo Abe ha annunciato il suo piano di salvataggio personale: rimanderà di 18 mesi il secondo aumento della tassa sui consumi (inizialmente previsto per l’ottobre del 2015, parte di un piano per far fronte al debito pubblico, ma potenzialmente disastroso per gli effetti che avrebbe sull’economia reale), scioglierà la camera bassa venerdì prossimo e chiamerà i giapponesi al voto il 14 dicembre, con due anni di anticipo.

Con un consenso ancora buono ma in calo (sceso dal 50 al 44 per cento secondo l’ultimo sondaggio della tv di stato Nhk), i consumi a picco dopo il primo aumento – lo scorso aprile – dell’imposta dal 5 all’8 per cento senza un adeguamento dei salari, e l’Abenomics sempre più nel mirino dell’opposizione, il premier giapponese corre ai ripari e chiede ai cittadini di dargli fiducia per altri quattro anni e permettergli di proseguire con il suo piano di riforme economiche.

Soprattutto, Abe chiede il via libera sul doloroso, ma inevitabile e non ulteriormente rinviabile, aumento dell’iva. “Niente tassa senza rappresentanza”, ha detto Abe parafrasando lo slogan della rivoluzione americana. Ma più che il diritto dei cittadini di essere tassati da chi scelgono loro, in gioco c’è la sopravvivenza di un leader che deve vedersela con le ricadute in termini di popolarità anche di altre decisioni, come la riapertura delle centrali nucleari e le spallate all’articolo 9 della costituzione. Complice l’opposizione sfilacciata e i tempi strettissimi, l’esito del voto sarà favorevole ad Abe. Ma bisognerà vedere quanto dureranno i suoi effetti.

Junko Terao è l’editor di Asia e Pacifico di Internazionale.

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