Nella battaglia finale, la repubblica vince. Sconvolta, incrinata, scossa da un partito dell’intolleranza che ha raccolto fino al 42 per cento dei voti durante la campagna elettorale, la Francia ha appena detto agli xenofobi – anche se restano forti, minacciosi e attivi – che non vuole saperne di loro. In definitiva, una certa idea di libertà ha resistito.

Si è dimostrato, attraverso questo voto, che si può resistere all’ascesa nazional-populista. Esito paradossale di una campagna elettorale senza precedenti: questo paese che viene descritto sempre più vecchio, nostalgico, isolato, amaro, ha portato al potere un uomo di 39 anni senza un passato politico, amante dell’Europa e affascinato dai grandi orizzonti.

Un giovane di belle speranze è il primo tra i francesi: ora deve essere all’altezza del ruolo. Emmanuel Macron lo deve al suo talento, che gli ha permesso di lasciarsi alle spalle i politici di vecchio corso e tutti i vecchi partiti. Bisogna risalire ai tempi di Bonaparte per trovare un capo di stato più giovane. Presidente dopo essersi lanciato in politica da meno di due anni, la sua corsa è stato uno sprint, e l’auto Macron è da Formula 1. Ma la fortuna l’ha aiutato più di chiunque altro.

Chi poteva immaginare che il presidente uscente sarebbe stato fermato da un libro e dal suo primo ministro Manuel Valls, che il favorito naturale dopo cinque anni di sinistra impopolare, François Fillon, inciampasse in uno scandalo, o che Marine Le Pen, passato il primo turno, si sarebbe suicidata in diretta mostrando con tale candore aggressivo la vera natura del suo partito? Ma anche saper cogliere le occasioni è una forma di raffinata abilità. Macron ha fatto: ora è all’Eliseo.

Questa fortuna gli servirà molto in futuro. Tra quel 65 per cento degli elettori che lo hanno scelto, oltre i due terzi avrebbero senza dubbio preferito votare per qualcun altro. Questi elettori hanno un credito nei suoi confronti. Quello che Jacques Chirac, a suo tempo, non ha onorato rifiutando di rappresentare anche quelli che non erano suoi sostenitori. Sono i valori repubblicani che hanno portato Emmanuel Macron al potere. Lui ha quindi il dovere imperativo di incarnare questi valori che, più del suo programma, spiegano il suo successo. Un successo accompagnato da un grande problema: con tutta probabilità, i voti che sono andati a Marine Le Pen, e coloro che hanno scelto la scheda bianca o l’astensione, sono per la maggior parte dei voti popolari.

Questa è la sfida principale del nuovo presidente: colmare gradualmente il fossato che separa la Francia felice e la Francia arrabbiata, la Francia dalle élites e la Francia che resta indietro. Una repubblica che gran parte del popolo abbandona non è più una repubblica. Emmanuel Macron ha la legittimità per mettere in pratica, se vince le legislative, il programma che ha presentato ai francesi. Ma se il programma non aiuta i cittadini, se si accontenta di soddisfare le ambizioni riformiste delle élite, anche se benintenzionate, la sua presidenza fallirà. La repubblica si è rafforzata. Per continuare a essere forte, deve essere anche giusta.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano francese Libération.

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