La capacità di reazione dei londinesi è proverbiale, quasi un luogo comune. Poco più su della chiusa di Camden, la mattina dopo la notte dei più gravi disordini sociali che si ricordino in questo paese, gli abitanti facevano avanti e indietro con scope e sacchi di plastica per vedere se rimaneva qualcosa da pulire. I vetri, i calcinacci e i cassonetti in fiamme lasciati dalla rivolta della notte prima erano già stati spazzati via dai cittadini arrivati di buon’ora.

Cinque donne – alcune bianche e altre asiatiche – reggevano grandi cartelli rosa con su scritto free hugs, “coccole gratis”. Erano già state a Brixton. Persino io ho accettato un abbraccio. All’altro capo di Londra, in tutti i quartieri devastati era in corso una colossale campagna di ripulitura organizzata attraverso gli stessi social network che i rivoltosi avevano usato per coordinare saccheggi e incendi. Si è capito quasi subito che, contrariamente alle prime notizie date in preda al panico, in questa crisi i social media sono rimasti moralmente neutrali.

A Clapham Junction centinaia di persone si sono riunite alzando in aria le scope, e qualcuno era arrivato dall’altro capo della città per mostrare la sua solidarietà. Il sito creato appena qualche ora prima per coordinare le campagne di pulizia è andato in tilt per l’eccessivo numero di visitatori.

E c’erano anche altre storie di solidarietà: penso alle notizie sui giovani ebrei e musulmani di Stamford Hill che si erano uniti per difendere la sinagoga locale dai saccheggiatori, o ai gruppi anarchici di Hackney che spegnevano gli incendi quando i servizi di emergenza, sovraccarichi, non arrivavano. I cittadini telefonavano agli amici per assicurarsi che stessero bene e aprivano la porta di casa a estranei che non riuscivano ad attraversare la città. I commentatori hanno cominciato a rassicurarsi a vicenda, dicendo che quella era “la vera Gran Bretagna”. Mentre scrivo nessun esponente del governo sotto assedio si è ancora azzardato a usare l’espressione big society, tanto cara ai conservatori di David Cameron. Ma la maggior parte dei politici incoraggia una narrazione che parla di divisione sociale, di “noi” e di “loro”, di “veri” cittadini britannici che vanno a ripulire le porcherie lasciate dai giovani per teppismo “gratuito”.

I leader giurano di voler punire i saccheggiatori che, secondo loro, si abbandonano ad atti di “delinquenza pura” senza nessuna motivazione sociale. I commentatori di destra puntano il dito contro il multiculturalismo, contro i genitori single, insomma contro qualsiasi cosa tranne l’austerità e la disoccupazione. Twitter ribolle d’indignazione razzista e alcuni utenti che discutevano in rete della campagna di ripulitura hanno invitato i volontari a “spazzar via la feccia”. I giornali che cercavano di spiegare il caos se la sono presa con i social network e i telefonini invece che con la disgregazione sociale.

Naturalmente, una campagna di pulizia è una cosa, ma mettersi a fare i vigilantes nelle strade è un’altra. L’impulso a difendere la propria comunità è assolutamente comprensibile e non si possono certo rimproverare i cittadini che si organizzano per pattugliare il loro quartiere. Ma notizie come quella delle bande di iscritti all’English defense league che gridano slogan razzisti contro giovani neri nella zona di Eltham sono allarmanti. E anche quella dei cittadini che si dichiarano progressisti e invocano l’uso di cannoni ad acqua e proiettili di gomma da parte delle forze dell’ordine.

Chi strumentalizza le espressioni di questa rabbia per trovare conferma ai suoi pregiudizi farebbe bene a ricordare come hanno reagito i volontari della “brigata scope” di Clapham quando il sindaco conservatore Boris Johnson è arrivato sul posto per complimentarsi per il loro duro lavoro. Il primo cittadino di Londra, tornato in gran fretta a “riprendere in mano la situazione” dopo ben tre giorni di rivolta, è stato accolto da grida di “È colpa tua!” e di “Come sono andate le ferie, Boris?”. Johnson ha ordinato ai volontari di stare fermi mentre lui si metteva in posa per i fotografi con la ramazza in mano. Poi ha posato la scopa e se l’è svignata davanti a una folla di cittadini che protestavano per la chiusura dei community center.

Presi dal panico, i politici che di questa rivolta sociale hanno capito poco o nulla cercano ora di imporre la loro versione dei fatti. Per questo è indispensabile respingere spiegazioni facili tipo “noi” e “loro”. La verità, infatti, è che tutti sono “noi”. I disordini continueranno fino a quando non capiremo che i giovani scatenati in giro per Manchester, Liverpool, Brixton, Tottenham e per cinquanta quartieri di Londra sono “la vera Gran Bretagna” tanto quanto coloro che, il mattino dopo, sono scesi per le strade dei loro quartieri devastati a spazzare via le macerie. Dire che i “veri britannici” sono solo quelli che si difendono da bande di giovani selvaggi equivale proprio a usare il linguaggio della divisione sociale che sta alla base di queste rivolte.

I disordini sono una cosa che spaventa, ma incitare al razzismo, alla violenza e alla demonizzazione dei giovani non servirà certo a guarire le nostre città.

*Traduzione di Gigi Cavallo

Internazionale, numero 911, 19 agosto 2011*

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it