Ieri sono andato a vedere [Trashed][1], un documentario sull’immondizia girato da una regista e giornalista britannica, Candida Brady. A Cannes, in genere, i documentari non suscitano molto interesse, fatta eccezione per quelli di Michael Moore, perché in un festival del cinema la finzione è considerata (non sempre a torto) superiore alla realtà. E così è stato: la sala era mezza vuota, nonostante la presenza di Jeremy Irons, che nel film compare come narratore e intervistatore.

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Peccato, perché

Trashed è un film importante. Sappiamo tutti che lo smaltimento dei rifiuti è diventato un grosso problema a livello mondiale, ma il film di Brady rivela, con cifre in mano e con immagini spesso scioccanti, che non è tanto un problema ma una catastrofe.

Ogni anno buttiamo 58 miliardi di bicchieri di plastica, 200 miliardi di bottiglie Pet di acqua minerale (per non parlare di tutte le altre bibite), miliardi di tonnellate di rifiuti domestici, chimici, e tossici. Non sappiamo più come disfarcene. Spesso ci si affida ancora a metodi vecchi: si individua una zona, si deposita un sacco dell’immondizia, se ne aggiunge un altro e così via, finché non si forma prima una collina, poi una montagna.

Il film ci porta a una discarica a Saida, in Libano, alta 14 metri. Quello che più colpisce è la location: la spiaggia. Le onde si infrangono contro la spazzatura e la trasportano in giro per il Mediterraneo. Dalla parte opposta del globo, a Jakarta, osserviamo donne lavarsi i capelli nel fiume Ciliwung mentre i figli giocano tra rifiuti galleggianti di ogni tipo (il governo indonesiano dice che vuole pulire il Ciliwung, ma finora non si è fatto niente)

I paesi industrializzati a volte bruciano i rifiuti in enormi inceneritori o termovalorizzatori, ma bruciare i rifiuti rilascia nell’atmosfera diossina e metalli pesanti. Poi, in un modo o nell’altro, tutto finisce in mare e ormai, in alcune zone del Pacifico, c’è più plastica che plancton. La plastica funge da calamita per le tossine e, attraverso la catena alimentare marina, queste tossine finiscono nei tonni, nelle orche, nei pesci spada.

Tutto questo è ben noto, ma si prova un grande sconforto nel vedere i fatti così chiaramente strutturati e accompagnati da immagini. Certo, con le sue maniere teatrali pacate (all’inglese), Jeremy Irons non è Michael Moore in fatto di aggressività giornalistica. Ma il quadro dipinto da Trashed parla da solo.

Per Brady, la soluzione al problema è una sola e salta fuori dallo schermo, lampante e angosciante. Dobbiamo creare meno rifiuti, punto e basta. Peccato che siamo così pochi in sala a cogliere l’avvertimento.

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