“Sta ancora piovendo?”, mi chiede un giornalista russo nel bar al primo piano del Casinò, quartier generale del festival, dove sto approfittando del wi-fi per mandare un file pesante mentre scolo uno spritz, sbrano un panino, controllo gli sms e calcolo il tempo minimo che mi serve per arrivare alla prossima proiezione. “Cosa?”, gli rispondo distratto, “Ha piovuto?”.

A volte nei festival corri così tanto che non sai neanche il tempo che fa: t’accorgi che stava piovendo solo quando prendi posto in sala e ti rendi conto di avere i vestiti bagnati.

Quindi le proiezioni, oltre a essere il motivo per cui siamo tutti qui, sono anche gli unici momenti di pausa e di pace in una giornata frenetica. Ecco perché tante persone dormono in sala. Anzi, secondo me c’è chi viene ai festival senza alloggio e dorme delle ore qua e là dove capita (al Lido affittare un appartamento costa molto, perché in quei dieci giorni i proprietari cercano di rifarsi per una stagione deludente. E al Lido, ormai fuori moda come meta balneare, tutte le stagioni sono deludenti).

Non ho visto niente di emozionante in questa terza giornata, ma un film da tenermi sveglio c’è stato (faccio presente che ho saltato il film di Ulrich Seidl,

Paradiso: Fede, in quanto ho scoperto di essere allergico alla sua varietà di misantropia cinematografica: anche una piccola traccia mi fa stare male per giorni).

Si tratta di La città ideale, l’esordio da regista di Luigi Lo Cascio, che ha aperto la Settimana della critica. Ha molti pregi. Uno è che non sembra per niente il film di un attore. Semmai assomiglia di più al film di un romanziere piuttosto concettuale, in quanto il tema centrale delle responsibilità del cittadino verso la *civitas * è trattato in modo sfaccettato, non lineare, con digressioni sorprendenti che poi si rivelano in qualche modo importanti.

Nel film, Lo Cascio interpreta Michele Grassadonia, un architetto che si è trasferito a Siena da Palermo perché convinto che Siena sia la città ideale. Ecologista accanito, si lava e cucina solo con l’acqua piovana, si rasa pedalando su una bici-generatore, e ossessiona i colleghi di lavoro con le sue manie, come il rifiuto di accendere il riscaldamento, anche d’inverno.

Ci sono tutte le premesse della commedia, ma a un certo punto il film cambia registro e diventa una specie di giallo etico-metafisico quando, guidando per una strada buia in una notte piovosa, Michele vede una specie di fagotto per terra e tornando sui suoi passi con l’auto ecologica che ha preso in prestito da un amico scopre che il fagotto è in realtà un uomo ferito e privo dei sensi. Si scoprirà che si tratta di un uomo importante e Michele verrà sospettato di averlo investito. Il suo gesto di responsabilità civile si rivolterà contro di lui.

È l’inizio dell’odissea di un uomo corretto e rigoroso in un mondo di scorretti e approssimativi che credono più all’apparenza che alla verità, più alla forma della parola che alla sostanza. Coadiuvato da una colonna sonora gustosa di [Andrea Rocca][1], un artista italiano di musica elettronica che vive a Londra, il tono oscilla tra commedia nera, thriller psicologico e satira politico-sociale.

E se alla fine c’è un senso di confusione o di delusione quando siamo lasciati in media res, con la vicenda di Michele per niente conclusa, forse anche questo è il punto: la sua frustazione è anche la nostra. Dunque bravo Lo Cascio, anche per aver scelto una recitazione molto sobria, che mette in risalto i suoi colleghi attori e non se stesso.

Ed eccoci al terzo video in diretta dal festival, questa volta un’omaggio minimalista a E la nave va. Sotto sotto c’è [un messaggio][2] importante.

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