Nel mezzo del cammin di nostro festival, volevo abbozzare quelle che per me sono le tre scene più belle viste finora fra i film in concorso e non.
Uno: le sabbie mobili di Malick
Per me To the wonder, il nuovo film di Terrence Malick, soffre di manie (deluse) di grandezza quando in realtà è poco più che un lungo videoclip poetico. Ma almeno è poetico davvero. Anche se ha dimenticato come raccontare una storia cinematografica Malick è comunque un maestro dell’immagine, e tra le sequenze di rara bellezza che ci regala qui ce n’è una da togliere il fiato. Sulla spiaggia davanti a Mont Saint-Michel, un’abbazia romanica francese costruita su un isolotto al largo della costa della Normandia, due amanti giocano a sfidare la marea che avanza. A un certo punto si trovano nelle sabbie mobili, ma invece di cedere le sabbie rimbalzano come un trampolino quando loro ci saltano sopra. C’è qualcosa di miracoloso nell’immagine, che non è generata dagli effetti speciali ma dalla semplice osservazione.
Due: i giovani ribelli di Assayas
Come già Bertolucci in The dreamers e Philippe Garrel in Les amants réguliers, anche Olivier Assayas torna sul tema della contestazione giovanile francese in Après mai collocandola negli anni dopo quel maggio del 1968, quando le energie di una primavera rivoluzionaria cominciavano a disperdersi in frange opposte e derive mistiche. Una della scene più belle del film è quella di un’azione in cui degli attivisti studenteschi vanno a imbrattare i muri del loro liceo con degli slogan e dei volantini. Come i protagonisti, la macchina da presa non è mai ferma: è un tour de force di cinema in movimento, l’equivalente autoriale di un inseguimento in un film di James Bond, con la stessa carica di adrenalina. Ed è molto rappresentativo anche del gioco ambivalente che Assayas fa in tutto il film. Da una parte mostrando l’egoismo di questi rivoluzionari borghesi, dall’altra abbracciando il loro fascino. Tra tutti i film su quegli anni, questo è di gran lunga quello che coglie di più lo spirito del tempo.
Tre: la ragazza saudita testarda
La settimana scorsa, nella sezione Orrizonti, è passato Wadjda, il primo film saudita mai diretto da una donna (Haifaa al Mansour), nonché il primo interamente girato nel regno musulmano, che non ha nemmeno una sala cinematografica (per le autorità religiose del paese, sono considerati luoghi moralmente pericolosi). Non è un capolavoro, ma è un film coraggioso, molto umano e ben costruito sulle frustrazioni quotidiane vissute dalle donne in una società che le ingabbia fisicamente e moralmente. La scena più bella è quella in cui la giovane protagonista, una ragazzina di dieci anni ribelle e un po’ maschiaccio, vince un concorso di memorizzazione del Corano indetto dalla sua scuola e con un premio in denaro. Sappiamo esattamente perché Wadjda si è iscritta al concorso e perché ha passato così tanto tempo a imparare a memoria i versi del libro sacro, ma questo non diluisce la forza del momento quando, davanti a tutta la scuola, alla domanda della direttrice su come intende spendere i soldi, dice orgogliosamente: “Voglio comprare una bici”. Quella bici che le ragazze saudite non devono guidare, perché non è considerato decoroso per una donna.
Vi lascio con un’immagine della sala stampa al terzo piano del casinò. Ai festival di cinema bisogna dormire dove e quando capita…
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