Volevo lanciare il primo di una serie di post sul mio blog in cui chiedo ai lettori di Internazionale di aiutarmi a capire alcuni aspetti del mio paese adottivo, l’Italia, che non mi sono del tutto chiari. Ma per non sentirmi dire “sei tu che devi fare il giornalista, non noi”, spiego prima le mie idee sul tema.

Dunque, Beppe Grillo. Premetto che non guardo molto la tv. La preistoria del personaggio l’ho ricostruita da Wikipedia e da altre fonti online. Ecco le poche cose che so di lui e le poche cose che penso di lui.

Se ho capito bene, Beppe Grillo è emerso come comico di cabaret e televisione, ma poi si è reso conto che la sua vera indole era rappresentata dal monologo satirico lungo. Il programma tv gli stava stretto non solo per questioni di censura, ma forse perché lo spettacolo corale, di squadra, non è il suo forte. Giusto?

Non ho mai visto Grillo dal vivo, ma ho visto alcuni filmati delle sue performance su Youtube. La sua tecnica, mi sembra, è quella di fare una commedia in forma di comizio e viceversa. Non è il primo comico ad avere intuito i rapporti di parentela tra i due generi. C’è un comico inglese di sinistra,

Mark Steel, che fa leva sulla stessa commistione, e che ha perfino scritto un libro (serio) sulla rivoluzione francese.

Ma mentre Steel è un divulgatore socialmente impegnato in veste di comico, Grillo mi sembra più il classico tipo arrabbiato del bar di paese, in veste di comico. Può darsi che questo signore arrabbiato sia un personaggio creato da lui, ma da quello che ho visto ho il sospetto che sia proprio lui.

Non nego che Grillo sappia fare il suo mestiere: intrattenere centinaia di persone per due ore senza cali di ritmo non è facile. L’elemento della fisicità dirompente, con le mani sempre in movimento, il corpo pronto a contorcersi nello spasimo, le parole sputate più che pronunciate, è stato notato recentemente da Marco Belpoliti. Ma guardando uno show di Grillo con occhio critico, si vede che gli scoppi d’ira sono programmati quasi con l’orologio: ce n’è uno circa ogni cinque minuti, separati da momenti in cui rassicura il suo pubblico, lo delizia con battute campanilistiche sul luogo in cui si trova, sforna qualche barzelletta classica. Grillo ha capito che l’indignazione funziona, ma anche che l’indignazione logora. Dunque, sa come dosarla.

Beppe o Silvio?

Grillo è un Berlusconi sotto mentite spoglie? Non lo so, francamente. È chiaro che a prima vista c’è un abisso politico tra i due. Ma entrambi vengono dal mondo del cabaret e sono dei populisti bravi a usare le tecniche della comunicazione per moltiplicare il potere che esercitano su un pubblico dal vivo. E tutti e due cercano di convogliare la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Tra questo invito di Grillo a non pagare le tasse e il famoso “mi sento moralmente autorizzato a evadere” di Berlusconi vedo solo differenze di facciata. Sono tutte e due delle posizioni irresponsabili e ipocritamente populiste.

Berlusconi ha fondato un partito in tempi da record, partito che poi ha usato sfacciatamente come arma di difesa personale, noncurante del fatto che questa identificazione molto stretta tra capo e partito significhi che quando declina il capo, declina anche il partito. E quando muore il capo, muore anche il partito.

Grillo ha fondato un movimento (il MoVimento) in tempi da record, un para-partito che ruota interamente intorno a lui, ma attenzione, ecco la differenza tra lui e Berlusconi (cito il suo blog): “Io devo essere il capo politico di un movimento, però io voglio solo dirvi che il mio ruolo è quello di garante, di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra. Dobbiamo avere soglie di attenzione molto alte” (breve digressione linguistica: una delle prime regole che ho imparato quando ho cominciato a imparare l’italiano era che il pronome personale soggetto viene generalmente omesso. Quello che mi colpisce di più in quanto scritto sopra è quel “io” ripetuto due volte quando non ce n’è bisogno).

Una volta raggiunto il “qualche cosa di straordinario”, cioè l’entrata in parlamento che Grillo auspica (e che in questo preciso momento sembra molto probabile), “il leader sarà il MoVimento, il leader vero”. Sarà, ma a me personalmente visualizzare il MoVimento 5 Stelle senza Beppe Grillo risulta difficile come visualizzare il Popolo della libertà senza Silvio Berlusconi. Ma può darsi che mi sbagli (su Grillo, intendo, non su Berlusconi).

E fin qui sono arrivato ad analizzare il fenomeno Grillo. Non sono prevenuto. Non credo che un comico sia meno degno di entrare in parlamento di un imprenditore edile, un professore di economia, un falegname o perfino (abbiate pazienza) un politico di professione. Mi trovo d’accordo con molte delle cose che Grillo e i grillini dicono su ambiente, energia, burocrazia, corruzione e ricerca, in un programma che, se ho capito bene, può essere modificato e redatto da qualsiasi iscritto, come una specie di manifesto-Wikipedia (ma sempre, immagino, con l’approvazione del garante Grillo).

Un programma orwelliano

Però ci sono alcuni punti del programma che fanno trapelare un populismo grezzo, per esempio sotto il capitolo istruzione: “Insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri (obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza)”. E il tono del famoso glossario mandato dall’ufficio stampa dalla lista civica 5 Stelle Milano a giornalisti e redazioni mi fa venire in mente la Neolingua di Orwell con il suo “good”, “ungood”, “plusgood” e “doubleplusgood”.

Non si può negare che Grillo abbia incanalato un’onda di citizens’ power generata dalla meschinità di una classe politica che si è rivelata incapace di affrontare i problemi reali dell’Italia e che sta crollando sotto il peso della sua inutilità.

Ma mi chiedo se Grillo sia veramente il “megafono” (per citare il glossario 5 Stelle) di una rivoluzione in atto, pronto a mettersi da parte quando il movimento camminerà con le proprie gambe, oppure l’ennesimo demagogo e aizza popolo italiano. Vedo una grande partecipazione di persone giovani e motivate intorno a lui, vedo il rifiuto sano di un sistema politico artritico e corrotto, ma quello che mi dico è: se la democrazia della rete è il modello, perché è nato un movimento così palesemente verticale? Boh.

Ho cercato di gettare un po’ di luce sul fenomeno Grillo, ma ancora non sono sicuro di averlo capito. Se avete delle dritte, fatemi sapere.

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