Mi è arrivata un’email da parte di una ragazza di nome Marina, che mi scrive: “30 anni me. Ho visto il tuo profilo e ha deciso di produrre a voi. Come stai facendo? Ho uno stato d’animo meraviglioso. Sto cercando un individuo per racconto serio”. Che carino, penso, una signorina che cerca un amico con cui leggere, che ne so, La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj.

Mi chiede perfino se sono “stimolato a fare l’idea” con lei. E pensare che giusto l’altro giorno ho detto a mia moglie che i giovani d’oggi non si appassionano più alle idee, ma solo agli status su Facebook. Dalla foto che Marina ha allegato all’email non avrei mai detto che fosse portata per la filosofia, ma non bisogna mai giudicare dalle apparenze.

Ricevo poche email truffa in italiano. Di solito sono o in inglese o in francese, e invece di una richiesta di amicizia di solito si tratta di un’eredità lasciatami da uno zio che non sapevo neanche di avere, oppure una vedova in età avanzata senza eredi e con una barca di soldi che, per qualche ragione che mi sfugge, vuole depositare sul mio conto.

Oppure (più furbo questo, perché meno altruistico) il funzionario di un dittatore africano che chiede il mio aiuto per trasferire molti soldi su un conto europeo, fuori dalla giurisdizione locale, in cambio di una percentuale che varia dal 5 al 30 per cento.

Qualcuno ci casca. Non ci vuole grande astuzia per capire che cosa succede se rispondi: servono sempre soldi per le pratiche bancarie, per corrompere qualche pubblico ufficiale, per le spese amministrative. Perché – dettaglio raffinato – chi mi contatta è povero, e può accedere a questa fortuna, congelata in qualche conto bancario, solo con il mio aiuto. Altro dettaglio: se rispondo, divento complice di un’operazione illegale. Quindi sicuramente non chiamerò né la polizia né il mio commercialista.

Sembra incredibile, ma c’è gente che ci casca. Circa 50mila all’anno, secondo i produttori di [419: the Nigerian Scam][1], un documentario canadese che racconta questo fenomeno. Qualcuno arriva anche fino a Lagos o Port Harcourt, dove viene portato in giro a visitare ministri, direttori di banca, eccetera. Come dice una vittima, “le sceneggiature di queste truffe superano quelle di molti film hollywoodiani”.

Fino a oggi immaginavo che questo tipo di truffa fosse un’invenzione dell’era di internet. Mi sbagliavo. Facendo un po’ di ricerche, ho scoperto che truffe simili sono documentate anche nel Medioevo, ma in Europa si sono diffuse soprattutto nell’ottocento. Quella più comune era la truffa del prigioniero spagnolo. Si trattava sempre di un nobile spagnolo imprigionato sotto falsa identità, di cui il truffatore era conoscente o parente.

Per il prigioniero, rivelare la sua identità avrebbe avuto serie ripercussioni. Servivano dei soldi per farlo uscire dalla galera, dopodiché (essendo gentiluomo) avrebbe ringraziato il suo benefattore con un bel premio in danaro e forse addirittura la mano di sua figlia, naturalmente bellissima. David Mamet racconta una versione moderna di questa truffa nel film The spanish prisoner del 1997.

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La storia non cambia. La continuità narrativa e metodologica che c’è tra la truffa spagnola dell’ottocento e quella nigeriana di oggi è soprendente. In tutti e due i casi vengono sfruttati nostri pregiudizi su un paese corrotto, del sud del mondo (nell’ottocento, per gli europei del nord, la Spagna era la Nigeria di oggi). Si aggiunge un pizzico di romanzo d’avventura – nell’ottocento il punto di riferimento era probabilmente Il conte di Monte Cristo di Alexandre Dumas, oggi forse i romanzi africani di Graham Greene o i reportage romanzati di Ryszard Kapuscinski.

Sì, ci diciamo, in quei paesi tutto è possibile. È facile inventare una messa in scena che conferma questo tessuto di pregiudizi, leggende e sentito dire. Un po’ come la scena della scorta camorristica nel film Benvenuti al sud (di cui si vede qualche secondo alla fine di questo trailer), inscenata per sfatare, attraverso la tecnica della reductio ad abusrdum, i pregiudizi della moglie brianzola del protagonista.

Da Mussolini a Gheddafi. L’altro aspetto curioso di queste truffe è il modo in cui cambiano le loro dramatis personae. Negli anni cinquanta sono nati molti imbrogli legati alla presunta fortuna nascosta di Mussolini. In questi mesi invece si sono fatti vivi i parenti e i banchieri di Gheddafi. Chissà se qualche truffatore sveglio ha pensato di sfruttare la crisi cipriota, magari inventando un magnate russo che ha bisogno di un prestanome.

Per funzionare, una truffa non deve corrispondere al vero. Anzi, più approssimativa è, più avrà successo: perché per chi è convinto di diventare ricco, oppure di essere stato scelto a caso da una bella ragazza come compagno di vita, i dettagli sono una distrazione.

Anche la grammatica e l’ortografia. Tempo fa, ho ricevuto un’email dal governatore della Banca d’Inghilterra. Sì, da Sir Mervyn King in persona. Cominciava così:

Hello,

I’ am Sir. Mervyn  King. From Bank of England, london, United Kingdom.

Bravo Sir Mervyn. Non sapevo che fossi dislessico, almeno a livello di punteggiatura, modo di presentarsi e uso dell’apostrofo; ma è la prova che se hai talento e determinazione, puoi andare lontano.

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