Dunque, Italicum. Meglio del Porcellum? Forse. Ma non dimentichiamo che anche la famigerata legge Calderoli del 2005 era un tentativo di modificare il sistema elettorale italiano partendo da una situazione giudicata intollerabile. Come lo era il Mattarellum del 1993. I promotori della nuova legge, guidati da Matteo Renzi, attribuiscono la sciagura dell’attuale governo di larghe intese alle imperfezioni della legge elettorale, mettendo il carro del sistema elettorale davanti ai buoi di un’Italia che aveva scelto l’impasse (forse gli italiani non avevano scelto l’impasse, ma l’Italia sì).
Per carità, il Porcellum era una soluzione brutta, né carne né pesce, che cercava di conciliare rappresentazione democratica e governabilità (parola che a me suona un po’ intimidatoria perché tende a seminare un senso di colpa tra elettori ritenuti irresponsabili). Era una soluzione presentata come il miglior compromesso possibile tra queste due esigenze, ma dettata in realtà dal vantaggio elettorale che lo schieramento in seno al quale nacque (il centrodestra) sperava di ottenere in quel momento storico. In comune con la legge attuale, l’Italicum ha questi due aspetti: insegue la chimera della governabilità e cerca di trarne vantaggio. L’unica novità, questa volta, è che ci sono due schieramenti che sperano che questa nuova formula sarà quella vincente, per loro.
Che garanzia abbiamo che l’Italicum avrà vita più lunga del Matterellum o del Porcellum? A giudicare dall’esperienza, sarà in vigore al massimo per dieci anni. E se sarà modificato, magari nel 2024, scommetto che succederà non perché il parlamento ha scoperto che alcune sue disposizioni sono antidemocratiche (un premio di maggioranza del 18 per cento, l’impossibilità di esprimere preferenze), ma perché qualcuno scorgerà nella riforma qualche vantaggio. E anche questo vantaggio sarà venduto agli italiani come un miglioramento del sistema.
Certo, il paradosso della democrazia rappresentativa è noto. Tutti i sistemi elettorali che affermano di garantirla (meglio il metodo D’Hondt, il metodo Sainte-Laguë - puro o modificato - o quello Imperiali?) sono solo dei riflessi deformati dell’ideale della vera democrazia rappresentativa. E quest’ultima è solo un riflesso deformato dell’ideale - bello ma probabilmente irraggiungibile a livello nazionale - della democrazia diretta. Basta guardare l’assetto demo-monarchico dell’M5s per capirlo.
Il sistema elettorale più democratico che l’Italia abbia mai avuto - nel senso che ogni singolo voto concorre all’effettiva elezione di un rappresentante - è quello del 1946 che aveva introdotto un sistema proporzionale più o meno puro, anche come risposta morale alla dittatura del ventennio fascista. Concepita per regolare le elezioni dell’assemblea costituente, è forse l’unica legge italiana elettorale del dopoguerra che non è direttamente attribuibile a uno schieramento. L’unica obiezione è che portava inevitabilmente a un governo di coalizione, rispecchiando in parlamento, in modo piuttosto fedele, la volontà di un elettorato chiamato a scegliere tra due blocchi, uno spostato verso sinistra, l’altro verso destra.
Certamente non contemplava l’esistenza di un terzo blocco forte che rifiutava di scendere a patti con gli altri due. Ma bisogna veramente fare una nuova legge elettorale ogni volta che il popolo esprime un voto scomodo?
Nel paese di cui sono cittadino, il Regno Unito, vige un sistema elettorale che ho sempre giudicato poco democratico (e lasciamo perdere la camera dei lords, che di democratico non ha niente). Per le elezioni alla camera dei comuni si vota usando il sistema del maggioritario uninominale secco, a un turno. Funziona così: il territorio del Regno Unito è diviso in 646 collegi (
constituencies); a ogni collegio corrisponde un seggio. Ogni partito sceglie un solo candidato per seggio. Il candidato che prende più voti in ogni collegio, anche per un singolo voto, viene eletto (il record di scarto minimo, almeno nell’era del suffragio universale, è di due voti ed è successo due volte, nel 1931 e nel 1997).
Le conseguenze? In primo luogo, tanti voti finiscono sprecati, nel senso che sono espressi a favore di candidati perdenti: nelle elezioni del 2005, si stima che in questa maniera la maggior parte dei voti (il 52 per cento) sia stata “buttata via”. Ma per un purista del proporzionale, anche i voti in eccesso a favore del vincitore possono essere considerati sprecati. Uno dei risultati è che c’è un alto tasso di astensionismo, soprattutto nei collegi considerati una roccaforte di un partito o dell’altro: che senso ha votare se so che il mio candidato non vincerà? Il sistema di first past the post (il primo a raggiungere il traguardo) non garantisce neanche che il partito che prende più voti su scala nazionale sarà quello con più seggi in parlamento. Favorisce il voto tattico, e c’è chi dice che favorisca anche il bipartitismo (un contro esempio è l’India, dove nella legislatura attuale ci sono deputati appartenenti a 37 partiti più nove indipendenti, tutti votati con il sistema maggioritario uninominale).
È strano come l’Italicum, con il suo premio di maggioranza, le sue soglie di sbarramento, le sue liste bloccate, finisca per somigliare molto al sistema inglese, ma senza mai usare l’orribile parola “maggioritario”.
Solo che non prevede, nemmeno con le liste corte, quello che, per me, è uno dei pochi vantaggi del first past the post britannico: che tu, elettore, sai esattamente chi è il tuo rappresentante. A prescindere se l’hai votato o meno, gli puoi scrivere, contattarlo via email, presentarti ai suoi ricevimenti settimanali o mensili (si chiamano surgeries, come le visite al dottore). Se non sai nemmeno chi sia, basta mettere il tuo cap sul sito del parlamento e appare la sua foto, la biografia, una lista degli interventi che ha fatto in parlamento, più il numero di telefono del suo ufficio e la sua mail personale.
Sono sicuro che Matteo Renzi è sincero quando dice che vuole un paese governabile, anche perché si vede che ha tanta voglia di governarlo. Penso anche che un sistema elettorale con degli elementi che sembrano palesemente ingiusti (come quello britannico) non necessariamente rende meno democratico un paese. Ma visto che il segretario del Partito democratico sta per lanciare una legge che forse è (insieme al Mattarellum) quella meno democratica della storia dell’Italia moderna, nel senso che è probabile che trascuri, o esageri, la volontà di molti italiani, non sarebbe un’idea considerare almeno qualche correzione a favore di una maggiore corrispondenza tra elettore ed eletto?
E non facciamone un problema di preferenze: il più delle volte, le preferenze sono uno specchietto per le allodole. Dire “questo candidato mi piace” non è la stessa cosa di dire “questo candidato sarà il mio rappresentante in parlamento”. La possibilità di scegliere direttamente il proprio deputato è stata ventilata in certe aree nel Pd nel passato; non sarebbe male darla una spolverata.
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