Fiore
Di Claudio Giovannesi. Con Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Valerio Mastandrea. Italia, 2016, 110’
Volutamente spoglio, privo di tic autoriali, il nuovo lungometraggio di Claudio Giovannesi sembra voler eliminare i filtri – la lente della cinepresa, lo schermo piatto della sala – che ci separano da Daphne, la giovane protagonista. Ladruncola di periferia, rinchiusa in un carcere minorile dove s’innamorerà di un ragazzo ospitato nella sezione maschile, Daphne emana un’energia che le circostanze difficili della vita hanno fatto diventare autodistruttiva.
È difficile non condividere la cotta che la cinepresa si è presa per lei, più facile resistere al fascino di una storia piuttosto scontata, dal conflitto presto risolto con un padre (Valerio Mastandrea) anche lui agli arresti domicilari, all’andamento della storia d’amore “impossibile” che non lo è affatto.
Come già in Alì ha gli occhi azzurri, Giovannesi fonda un dramma degli emarginati sulla sua formazione documentaristica. I due protagonisti, Daphne Scoccia e Josciua Algeri, vengono anche loro dal mondo descritto nel film che è basato, pare, su sei mesi di laboratori teatrali all’interno delle carceri. Nei piccoli dettagli (un rossetto nascosto, un tatuaggio) cova la verità di un film che forse era meglio servire crudo, come documentario, invece che in questa forma di dramma poco cotto.
Questo articolo è stato pubblicato il 1 giugno 2016 a pagina 80 di Internazionale, nella rubrica Italieni. Compra questo numero | Abbonati
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