A giudicare dalle ultime vendite registrate in Gran Bretagna, sembra che gli inglesi si stiano convertendo all’olio d’oliva. Secondo l’istituto Mintel, nel 2006 è stato l’olio più comprato dai cittadini del Regno Unito, che in passato preferivano quello vegetale o di semi di girasole. Questo antichissimo prodotto del Mediterraneo ha fatto molta strada dai tempi in cui i britannici potevano trovarlo solo in farmacia.
Inutile negarlo, siamo arrivati in ritardo: le olive sono uno dei prodotti agricoli più abbondanti dell’Unione europea, e quindi più importanti in termini politici. Circa un terzo dei produttori europei (2,5 milioni di agricoltori) coltiva ulivi sfruttando il 4 per cento dei terreni agricoli dell’Ue.
Grazie alla sua fama di alimento sano (è ricco di grassi monoinsaturi e di polifenoli) e all’ottima reputazione gastronomica, la domanda di olio d’oliva cresce ogni anno del 6 per cento a livello globale. Non sorprende quindi che gli olivicoltori del Mediterraneo siano da decenni tra i principali beneficiari della Politica agricola comune (Pac). Nel 2001, per esempio, le sovvenzioni di Bruxelles ai produttori di olive ammontavano a 2,5 miliardi di euro. La Spagna, che produce circa un terzo dell’olio d’oliva distribuito nel mondo, riceve da sola 1,03 miliardi di euro.
Le sovvenzioni concesse agli olivicoltori, così come i meccanismi che regolano la Pac, sono da sempre al centro di violente critiche: secondo alcuni hanno contribuito a incentivare pratiche colturali poco ecocompatibili, favorendo al tempo stesso una distorsione dei prezzi.
Nel 2001 la Commissione europea ha commissionato uno studio indipendente per valutare l’impatto ambientale della coltivazione delle olive nell’Ue. Il rapporto analizza gli effetti dell’olivicoltura su scala industriale, una pratica che si è diffusa rapidamente dopo l’introduzione della Pac, e conclude: “L’erosione del suolo è il problema ambientale più grave associato all’olivicoltura. Le tecniche inappropriate di controllo delle erbe infestanti e la pessima gestione del suolo, unita all’alto rischio di erosione presente in molte aree, stanno provocando fenomeni di desertificazione su larga scala e favoriscono la contaminazione dei corsi d’acqua con concimi naturali e chimici”.
L’analisi di Wwf e Birdlife International è altrettanto allarmante: “La coltivazione intensiva degli ulivi è una delle cause principali dell’estesa erosione e desertificazione di varie zone in Spagna, Grecia, Italia e Portogallo. Gli uliveti coltivati con le tecniche tradizionali offrono un valore aggiunto in termini paesaggistici e di diversità degli habitat, ma le sovvenzioni della Pac per incentivare la produzione spingono molti agricoltori ad abbandonare i vecchi metodi.
I coltivatori sono costretti a scegliere tra intensificare la produzione o abbandonarla, provocando in entrambi i casi danni all’ambiente”. Le due associazioni sottolineano soprattutto i problemi di natura idrica che hanno già colpito la Puglia, Creta e la regione di Jaén in Spagna, e il degrado degli habitat naturali che ospitano civette, quaglie, pernici, tottaville e occhioni. Oggi nessuna di queste aree corrisponde al paesaggio bucolico che molti associano all’olio d’oliva.
Ma il problema non si limita all’ambiente. Nel 2000 Sustain, un’organizzazione britannica che si batte per favorire la produzione di alimenti più sani e metodi di coltivazione più sostenibili, ha pubblicato un rapporto in cui confronta l’impatto degli oli vegetali sulla salute dei consumatori e su quella dell’ambiente.
Le conclusioni sull’olio d’oliva non sono entusiastiche: “Considerato il prezzo a cui viene venduto sul mercato, la quantità di denaro spesa per promuoverlo e tutelare i produttori europei e i danni ambientali provocati dalla coltivazione degli ulivi, i benefici dell’olio d’oliva sono molto sopravvalutati”.
Sustain sconsiglia l’uso di oli vegetali ricavati dalla soia o dalla colza, sempre per l’impatto ambientale causato dalla coltivazione. Indica invece come possibile sostituto l’olio di arachidi – un prodotto fondamentale per molti paesi poveri, coltivato e commercializzato a livello locale – e quello di cartamo, che sembra avere virtù benefiche simili a quelle dell’olio d’oliva.
Fortunatamente da quest’anno la Pac introdurrà una serie di riforme: gli agricoltori riceveranno ogni anno una sovvenzione fissa, non più legata al volume della produzione. Queste misure dovrebbero alleggerire in parte la pressione sull’ambiente, poiché eliminano gli incentivi finanziari per chi produce di più.
In ogni caso il modo migliore per accertarvi che un olio d’oliva non provenga da olive coltivate in modo poco sostenibile è scegliere un olio biologico o prodotto da cooperative su piccola scala. E state attenti alle etichette: “Importato dall’Italia” potrebbe riferirsi solo al luogo in cui l’olio è stato confezionato.
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