“Oggi viene in visita la damigella che diventerà la nuova moglie del padrone. Io e Agnes ci siamo svegliate presto, prima che sorgesse il sole, e ci siamo messe a pulire e preparare, nonostante la bruciatura sulla mano continui a dolermi”. È un bellissimo attacco quello mandato da Tess W. Mi piace molto questo genere di incipit che va dritto al sodo, senza sbavature: una voce narrante e una situazione, la notizia di un evento che sta per accadere e un mistero da chiarire.
Spesso raccontare una storia ambientata nel passato è affascinante quanto scrivere di fatti avvenuti in un paese straniero o sconosciuto. È un intero nuovo mondo che aspetta solo di essere scoperto, sia per quel che riguarda la trama sia per i personaggi. Tess W. non ha bisogno di specificare in che anno si svolge l’azione: basta leggere di due servette che si svegliano all’alba per capire subito, e senza ombra di dubbio, che ci troviamo nel passato. È esattamente quel che si dice un ottimo “gancio narrativo”.
Alcuni di voi, invece, hanno scelto di esordire indicando l’anno, espediente che – se usato in modo corretto – può risultare ugualmente efficace. Il testo di Richard trasmette un senso di vicinanza straordinario: “Benvenuti, amici. Siamo nel mese di maggio del 1381 e io sono John Ball, un povero prete. Mi descrivono come un tipo alto e allampanato, dai lineamenti marcati, gli occhi indagatori e una voce profonda. Ma questo a me non interessa; l’unica cosa di cui mi curo è la mia attività di insegnante. Sono stato educato a St Mary’s York, molti anni or sono, prima che la peste sbarcasse in Inghilterra”.
Anche Renato M. sceglie di entrare subito nel vivo del soggetto: “Mancavano poco più di dieci anni alla fine del secolo, il millequattrocento si avvicinava e io avevo diciassette anni. Il mio destino era tracciato già da allora come un solco nella terra della mia cara Umbria, e il mio nome, Erasmo da Narni, capitano di ventura detto il Gattamelata, sarebbe stato ricordato per sempre”.
Costruire un personaggio storico è divertente perché di solito il personaggio non sa che sta “parlando” a un lettore del futuro e quindi i dettagli sulla sua vita possono emergere inconsciamente attraverso ciò che accade nel libro. Non è necessario sapere tutto su un’epoca per poterne scrivere, perché nemmeno i personaggi sanno tutto. La chiave sta nel dettaglio: la scena in cui uno del trecento cucina o mangia servirà a ricostruire l’intero quadro.
Anche questa volta la gamma di epoche in cui avete ambientato i vostri racconti è impressionante: la Liguria di fine cinquecento, dove sta per celebrarsi un importante processo per stregoneria; la città di Antiochia ai tempi dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano; la rivoluzione francese; la tratta degli schiavi africani.
In tanti avete scelto la guerra. A bordo di una nave alleata sul Mare del Nord nel 1916 o tra gli sfollati in campagna, quel che d’istinto molti di voi pensano è evidente: un personaggio, per appassionare, deve rivolgersi al lettore da un periodo appassionante. È così ovvio che mi domando come mai lo stesso assunto non valga per i romanzi ambientati al giorno d’oggi. Perché così tanti autori contemporanei scelgono personaggi qualsiasi e per di più nullafacenti? Se li ricollocassero in un altro secolo, scoprirebbero all’improvviso che ogni loro azione deve riflettere qualcosa del più ampio mondo in cui vivono.
Prendete un personaggio, sistematelo nel cinquecento e sarete costretti a scovare almeno una caratteristica di quell’epoca: l’abbigliamento, la situazione politica, il modo di parlare. E perciò sarete obbligati ad andare oltre il personaggio e la vostra scrittura diventerà più interessante. Lo stesso dovrebbe valere per le opere ambientate nel presente. Un personaggio di un romanzo che si preoccupa o parla solo di se stesso è noioso proprio come una persona che si comporta così nella vita reale.
Siete stati in grado di creare così tante figure straniere e storiche affascinanti che, per l’ultimo esercizio della fase “genera idee”, vi assegnerò un compito davvero complicato. Ancora una volta l’obiettivo è guardare il mondo da una prospettiva nuova e riflettere sulle sue sfide narrative.
Scrivete un brano dal punto di vista di un oggetto inanimato. Se credete che sia impossibile, sappiate che l’autore britannico Bo Fowler ha scritto un intero romanzo, intitolato Scepticism Inc, dal punto di vista di un carrello della spesa, e non parlava solo di acquisti ma anche di religione.
Non mi aspetto che vi spingiate tanto in là, ma cimentatevi in questa impresa, e poi ci avventureremo verso quella più difficile di tutte: comporre un romanzo.
Internazionale, numero 641, 11 maggio 2006
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